lunedì 29 novembre 2004

Le strenne di Natale

Marco Cedolin

Piove, le giornate si sono fatte corte ed uggiose, l'aria è più fresca, il cielo cenericcio sembra sbiadire contro i muri ingrigiti di città, dentro l'umore bigiognolo delle persone che incrociamo per la strada, che poi è anche il nostro e non potrebbe essere altrimenti.
L'Istat stamani ci ha resi edotti del fatto che a novembre l'inflazione sarebbe rimasta stabile, confermando il dato tendenziale del 2% su base annua, il più basso, viene sottolineato dal 1999.
E' difficile però gioire di questo dato, empirico, poco commestibile ed oltretutto difficile da masticare.

Anche il nostro potere d'acquisto risulta il più basso e continua a rimanere tale anche se si risale la corrente a ritroso per parecchi decenni prima del 1999.
Così come risulteranno sempre più ridimensionate le strenne di Natale, le nostre poche sicurezze economiche, la capacità di far fronte al mutuo della casa, alle bollette, a quei "consumi" riguardo ai quali dissertano in maniera forbita gli analisti economici.
Il governo Berlusconi finalmente diminuirà le tasse e per avere la certezza che una simile roboante decisione avesse sui media lo spazio che meritava, ha creduto bene di portare avanti per oltre un mese una querelle infinita sull'argomento.

I valvassori del feudo della libertà si sono scagliati a più riprese con genuina belluinità contro il cavaliere, accusandolo gli uni di volere togliere ai poveri per dare ai ricchi, gli altri di volere togliere ai ricchi per dare ai poveri, tutti comunque imputandogli di voler togliere e dare; operazioni che in realtà il Silvio non potrebbe mai compiere a meno di aprire la cassa delle proprie aziende di famiglia.
I conti pubblici dello stato versano in condizioni pietose e se mai ci saranno sull'Irpef dei ritocchi al ribasso essi saranno giocoforza compensati dal rialzo di altre tasse ed imposte fra la miriade di quelle esistenti ed in stato di continua proliferazione.
Ma tutto ciò riveste poca importanza, l'essenziale è che i media abbiano confermato che le tasse scenderanno ed alla favolistica narrazione sia stato dato il massimo dello spazio possibile. Nella cacofonia sensoriale priva di punti di riferimento che compone i nostri giorni, spesse volte bastano i titoloni sui giornali per animare di fittizia vita una realtà che non è mai esistita nè mai esisterà.

Dopo le "taglie" dei cani ritenuti pericolosi in virtù del loro peso corporeo, inventate oltre un anno fa dal ministro Sirchia, lui si veramente molto pericoloso, ne nascono altre da appuntare sulla testa dei criminali che si macchino dell'omicidio di un rappresentante del popolo padano.
Una nuova interpretazione del codice penale che tenga conto in primo luogo della stirpe di appartenenza della vittima, al fine di graduare la gravità del delitto stesso.
-Vivi o morti- hanno urlato gli amici del bracalone Calderoli, forse un pò troppo ebbri divino ed ormai persi in un barbarismo senza ritorno. -Sono cose da Far west- hanno mormorato gli altri dimostrando incredibilmente di riuscire perfino a prenderli sul serio. Cosicché sicuramente morti ne sono usciti il senso della realtà e quello della decenza e non sapendo quale sia la loro stirpe di appartenenza sarà anche impossibile graduare la pena da commutare agli imbecilli che li hanno ammazzati perdendo l'ennesima occasione per stare zitti.

Domani comunque si risolverà tutto con lo sciopero generale, smetterà probabilmente anche di piovere, ma nel caso i goccioloni continuino a cadere, a bagnarsi saranno sempre solo i lavoratori che sfileranno nei cortei per cercare di cambiare qualcosa, legittimando inconsapevolmente con la loro presenza quelle stesse organizzazioni sindacali che si spendono affinché in Italia non cambi mai assolutamente nulla.
Anche le notti si sono fatte fredde, quando ci capita di passeggiare sotto la pioggia, con il bavero del giaccone rialzato e lo sguardo che si perde dentro alle pozzanghere, dove le immagini si rifrangono distorte a comporre un insieme vago ed indistinto ed avvertiamo che ci sta sfuggendo qualcosa d'importante, qualcosa che prescinde dal valore tendenziale dell'inflazione su base annua, qualcosa…

mercoledì 24 novembre 2004

Le Alleanze Nazionali

Marco Cedolin

Siamo tutti consci di quanto sia gravoso il mestiere di coloro che siedono nei banchi dell'opposizione, dopo essere stati fino a qualche anno fa accoccolati in quelli del governo e con la speranza neppure troppo segreta di tornare a breve a barbagliare degli antichi lustri.
Si può apprezzare appieno fra le fila dei barbassori che compongono il centrosinistra, un certo barcollio, una propensione smodata a barellare come vecchi barbogi, tremanti ed ubriachi, ogni qualvolta le circostanze li chiamino in causa per svolgere quel lavoro di opposizione che dovrebbe essere di loro competenza.
In effetti lo schierarsi, il prendere posizioni, il proporre alternative riguardo ai mille problemi seri e drammatici che compongono la realtà politica del nostro paese, presupporrebbe grande sfoggio di serietà e coerenza, attributi dei quali, per quanto ci si sforzi, non si riesce a trovare traccia
dentro alle file del centrosinistra.
Ecco allora che Rutelli e Fassino, con l'atteggiamento che da sempre è proprio dei veri leader, preferiscono non parlare dei soldati in Iraq, del mondo del lavoro, delle pensioni, dell'istruzione, delle ferrovie, delle compagnie aeree in estinzione, né di qualunque altra piaga fra quelle che stanno lacerando l'Italia dei nostri giorni.

Loro amano bettolare, darsi alle ciancerie, alle bagole, alla cavillazione e lo fanno riguardo ad un problema senza ombra di dubbio esiziale per il futuro del nostro paese.
Quale sarà il nome della nuova federazione riformista? Laddove in verità non si comprende cosa ancora vi sia da riformare, dal momento che il governo D'Alema e quello Berlusconi hanno praticamente riformato tutto.

Meglio usare due acronimi come "GAD" e "FED" oppure ricercare un termine che abbia più ampio respiro e riesca a suggellare le reali intenzioni di questa camarilla di uomini sull'orlo di una crisi di nervi alla ricerca della poltrona perduta?

Per riuscire nell'intento di accomunare in un solo nome, fra tutti quelli presenti nell'abbecedario, personalità così istrioniche e diverse fra loro quali il riccioluto Rutelli, il catriosso Fassino, il pingue e bonario, ma anche un po' beota Romano Prodi, nonché lo stuolo di feudatari minori che li contorna, ci voleva senza dubbio un termine nuovo ed in grado d'ingenerare entusiasmo nell'elettorato.

Scartati dunque gli "amanti del Brunello di Montalcino" "l'Unione delle casalinghe di sinistra" "Il partito degli automobilisti FIAT" "La confraternita dei consumatori Coop" ecco apparire all'orizzonte l'unico neologismo intriso di belluria, in grado di rappresentare coloro che si proporranno con fare belligero per governare l'Italia del futuro.

Alleanza! Non ci è ancora dato sapere (e certo consumeremo le nostre notti nel rovello di scoprire come andrà a finire) se si tratterà di "Alleanza democratica del centrosinistra" o più semplicemente "Alleanza Democratica" ma certo già a priori si può percepire la sensazione del nuovo che avanza, quell'emozione un po' rubata al Sabato del Villaggio di un futuro diverso, foriero di novità, impalpabile ma già così presente, che ci sta correndo incontro.
Anche il camerata pentito Fini Gianfranco, all'acme della propria apostasia, se ben ricordo era giunto a simili conclusioni, ma questo ha poca importanza, l'essenziale è sempre distinguersi, parlare di cose serie e manifestarsi nella propria unicità.

giovedì 11 novembre 2004

Quando le persone diventano percentuali

Marco Cedolin

Il Corriere della Sera ci rende edotti del fatto che il 31% degli italiani vorrebbe avere un cellulare umts, proponendo la notizia in primo piano nell'home page del proprio sito web.
Leggendo i risultati dell'indagine molto dettagliata, grazie all'innata propensione dei sondaggisti a categorizzare tutto e tutti, dalla quale è scaturito questo dato, si finisce quasi subito per soffermarsi a pensare quante e quali altre cose percentualmente vorrebbero gli italiani.

Molto probabilmente più del 50% di noi che discendiamo dagli etruschi e non arriviamo a fine mese saremmo ardentemente desiderosi di arrivarci.
Almeno il 70% dei lavoratori in giovane età vorrebbero percepire uno stipendio che permettesse loro di costruirsi una propria famiglia, anziché continuare a gravare a tempo indefinito sulle spalle dei genitori, con il conseguente senso di frustrazione che inevitabilmente ne consegue.
Sicuramente il 99% di coloro che hanno perso il lavoro e versa in stato carestoso, carezza il desiderio di riuscire a trovarne uno che non passi attraverso le forche caudine delle agenzie interinali e dello sfruttamento legalizzato dei lavoratori.

Il 63% (o forse era il 67%...non ricordo bene) di nostri concittadini aspirava a vivere in un mondo di pace ed era contrario alla guerra in Iraq. Il 51% lo è ancora oggi, nonostante giornali e TV abbiano continuato a dire che si trattava di un sacrificio necessario.
Già, necessario….. Quante assurdità oggettivamente riconosciute come tali, ci vengono imposte nella vita di tutti i giorni, in quanto necessarie, indispensabili, imprescindibili, figlie di una realtà incontrovertibile che cambia, ma per uno strano scherzo del destino la mutazione presenta sempre un carattere peggiorativo.

La precarietà del lavoro, che finisce per amaricare la vita di milioni di noi, è un sacrificio necessario, poiché non si può prescindere da traguardi magicali quali flessibilità e mobilità.

La perdita di potere d'acquisto delle famiglie, sempre più schiave di quella sorta di usura legalizzata chiamata credito al consumo è una conseguenza spiacevole ma necessaria del nuovo che avanza.

Perfino le telecamere che ci spiano all'angolo di ogni palazzo, la TV spazzatura strabordante d'imbonitori di ogni genere e razza, l'ecocidio sistematico del pianeta, l'intolleranza, il progredire della povertà, il penoso decadimento della cultura, gli omicidi mirati, la soppressione dei diritti dell'individuo, il ricorso alla tortura, le manganellate gratuite, le morti cercate…sono necessarie, inevitabili, apodittiche, assolutamente indispensabili.

Il 93% di coloro che non possono permettersi una casa, tutte le notti quando si addormenta in qualche ricovero di fortuna, sola con il proprio cauterio, sogna di possederne una, ma solo l'1% fra di essi vorrebbe un cellulare umts.

Il 96% di coloro che alle ore di pranzo e cena, anziché mangiare è costretta fare esercizio di anagogia, perdendosi nella contemplazione ascetica della propria tavola vuota, desidererebbe potere godersi un desco, ma solo lo 0,7% di questi signori vuole un cellulare umts.

Il 74% fra coloro che sono caduti nel calappio di aderire alla sovvenzione statale che li induceva all'acquisto del decoder digitale terrestre, hanno oggi capito di essere stati vittima di un disegno capzioso e difficilmente saranno disposti a ripetere l'esperienza poco edificante attraverso l'acquisto di un cellulare umts.

Il 90% delle persone che si ritrovano sopra al tetto di casa le antenne del sistema umts, continua a domandarsi senza alcuna speranza di ricevere delle risposte concrete, quanto queste antenne siano in realtà nocive per la propria salute.
Probabilmente il 20% di loro finirà per rassegnarsi ed acquistare un cellulare umts.

L'82% degli italiani tutti vorrebbe poter guardare al proprio futuro in una prospettiva che non parli solamente di regresso e continue perdite di diritti necessarie, ma stento a credere che il 31% di noi aspiri a vederlo chiareggiare sullo schermo di un cellulare umts.

venerdì 5 novembre 2004

La democrazia applicata

Marco Cedolin

Mentre lentamente si alza il velo dell’omertà, appare una realtà sempre più raccapricciante: torture generalizzate compiute dagli eserciti angloamericani, in Afghanistan come in Iraq. Almeno 35 le inchieste ufficiali già avviate, almeno 25 i morti già accertati, ma la sensazione è che si tratti solo della punta di un iceberg.

Molte volte la supponenza, qualora non supportata dalla realtà oggettiva dei fatti rischia di diventare semplicemente insana follia in grado d’ingenerare vergogna e nulla più. Così Bush, Blair e tutti i loro fedeli alleati, compreso quel salapuzio di Silvio Berlusconi che si vanta di essere il più fedele di tutti, impegnati com’erano ad entrare nella storia non si sono accorti di esserci entrati si, ma dalla porta sbagliata.
Quando si sono proclamati artefici della missione divina d’esportare in giro per il mondo la democrazia e la civiltà, non hanno badato al fatto che per esportare qualcosa occorre la prerogativa che quel qualcosa lo si possegga e possibilmente anche in abbondanza. Saddam Hussein era il tiranno, il despota, la raffigurazione terrena di Belzebù in quanto torturava il suo popolo nelle carceri di Abu Ghraib. Bush e Blair si dicono affranti e sgomenti poiché i loro soldati, alfieri della cultura e della civiltà d’occidente hanno torturato e ucciso lo stesso popolo iracheno nelle carceri di Abu Ghraib, naturalmente a loro insaputa.

Per ottenere la patente di democrazia e civiltà è quindi sufficiente fingersi all’oscuro degli atti di barbarie che vengono compiuti dagli eserciti. Ma in base a quale cervellotica congettura qualcuno potrebbe mai affermare in buona fede che Saddam e Milosevic sono criminali di guerra in quanto comandavano l’operato dei propri soldati, mentre Bush e Blair non lo sono in quanto i soldati delle grandi democrazie torturano, stuprano ed uccidono in perfetta anarchia senza che i loro “premier” ne siano a conoscenza?
Purtroppo la realtà è di una semplicità disarmante e a poco servono i funambolici tentativi di trasfigurarla che l’informazione di regime sta mettendo in atto in questi giorni. La realtà nasce dentro alle immagini brutali, vergognose, ingiustificabili che tutto il mondo ha avuto modo di guardare, quelle immagini che dimostrano in maniera inequivocabile quale livello di degrado si nasconda dietro la linda facciata di quella che molti osano chiamare “la più grande democrazia del mondo.”

I segnali della feccia marcescente della quale è impregnato l’esercito americano in verità si potevano già apprezzare senza troppo sforzo fin dall’inizio dell’invasione dell’ Iraq, se è vero che abbondavano le fotografie di carri armati Usa con tanto di teschi montati in bella vista e scritte ingiuriose del tipo “entreremo a Parigi come a Berlino”. Ma la cosa più grave è che non si tratta affatto di una novità, tutta la storia mondiale recente è costellata di guerre e atrocità compiute dagli Stati Uniti che in ogni conflitto hanno sempre usato gli stessi metodi: sterminio, tortura, stupri e violenze senza fine.
In Vietnam fra il 1964 ed il 1973 l’esercito Statunitense sterminò secondo le stime più caute almeno 700.000 soldati vietnamiti e 500.000 civili. Istituì e gestì una rete di polizia repressiva che usava la tortura come pratica corrente; le “gabbie per le tigri” di Con Son si sono rivelate un lager se possibile più terrificante di quelli nazisti, dove le amputazioni di parti del corpo, lo strappo delle unghie, le scariche elettriche, le bruciature di sigarette, l’uso di topi ed insetti si rivelarono pratiche di tortura comuni per le oltre 10.000 persone che ebbero la sventura di questa allucinante esperienza.
In Iran la “Savak”, la famigerata polizia politica dello Scià, fondata nel 1956 con il sostegno tecnico e finanziario degli USA e del Mossad israeliano, torturò senza pietà oltre 300.000 persone durante i 20 anni della sua esistenza e si distinse per atti di sadismo senza paragoni.

E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nobili gesta militari americane, passando per l’Indonesia e Timor Est, fino a giungere alla ex Yugoslavia, all’Afghanistan e all’Iraq dei nostri giorni. Già, le torture degli americani, quelle torture verso afghani e iracheni apparse in questi giorni sui giornali, quelle torture che tanto c’indignano e ci stupiscono, riguardo alle quali Bush e Blair si dicono meravigliati e sgomenti, pur essendo da oltre 50 anni una normale pratica che gli statunitensi applicano nei confronti dei loro nemici, siano essi soldati, civili, uomini o donne.
Ma ormai abbiamo imparato che dietro alle torture della democrazia ci sono sempre tante giustificazioni ma non vi è mai un colpevole, si tratta semplicemente di una questione di civiltà.

martedì 2 novembre 2004

Allarme Bolkenstein

Marco Cedolin

Continua la propria corsa all'interno del Parlamento europeo la proposta di direttiva Bolkenstain (che prende il nome dal commissario europeo per la concorrenza ed il mercato interno) forse il più fulgido esempio della direzione nella quale l'Unione Europea intende muoversi nel prossimo futuro, attraverso una strada lastricata dalla sistematica soppressione dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori e della libertà individuale.

Contrariamente al nobile proposito di ridurre gli intralci burocratici che soffocano la competitività europea, di creare crescita e nuovi posti di lavoro, la direttiva in oggetto si manifesta fin da subito come un flagello in grado di smantellare definitivamente lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e gli equilibri salariali.

Innescandosi sulla situazione attuale già profondamente compromessa dalle privatizzazioni indiscriminate, dalla pesante recessione economica, dalla disoccupazione in continua ascesa, la Direttiva Bolkstein si propone di stabilire un quadro giuridico applicabile, salvo rare eccezioni, a tutte le attività economiche di servizi, perseguendo un approccio orizzontale e rifiutando a priori ogni sforzo di armonizzazione con le singole legislazioni dei vari paesi.
Per rendere l'idea di quanto vasto sia il settore di applicazione della proposta, basti pensare che i servizi in essa contemplati rappresentano oltre il 50% dell'intera attività economica dell'UE.

I reali obiettivi che la Direttiva Bolkstein intende perseguire appaiono chiari non appena si prova a trasporre nella realtà il testo della stessa, spogliandolo della maschera di falsi buoni propositi, della quale si è inteso infarcirlo in maniera quasi ossessiva.
Scopriremo così come fra le pieghe di favole quali la "riduzione degli oneri amministrativi" "l'incentivazione all'espansione transfrontaliera delle imprese" "la riduzione dei prezzi attraverso lo stimolo alla concorrenza" "la sequela infinita di vantaggi per il consumatore" ed altre amenità sui generis, si celi invece una realtà destinata a parlare un linguaggio per molti versi antitetico.

Gli ostacoli che la proposta intende seriamente smantellare, riguardano la tutela del consumatore, la trasparenza nelle procedure, le garanzie sociali ed ambientali, la qualità dei servizi, la possibilità di prendere decisioni da parte delle autorità locali, nonchè i pochi paletti che ancora si frappongono ad una privatizzazione selvaggia dei settori pubblici dell'istruzione e della sanità, il tutto perseguendo l'isolamento ed il disarmo incondizionato delle organizzazioni sindacali.

Il punto attraverso il quale si può apprezzare in maniera più evidente il reale spirito che anima la direttiva è costituito dall'art. 16 che introduce il "Principio del paese di origine".
In base a codesto principio, sovvertendo la legislazione finora in vigore, un qualsivoglia fornitore di servizi è tenuto a rispettare solo e solamente la legislazione del paese nel quale ha sede la propria impresa, potendosi così permettere d'ignorare le leggi dei vari paesi nei quali fornisce il servizio.
Appare immediatamente in tutta la sua evidenza, come una norma di questo genere, che si va ad innescare su una molteplicità di stati sovrani ben lontani dal rappresentare un'omogeneità legislativa a livello sociale, fiscale ed ambientale, si proponga come trampolino di lancio per una serie di conseguenze che anche un ottimista non esiterebbe a definire catastrofiche.
In primo luogo le imprese risulteranno fortemente incentivate al trasferimento delle proprie sedi sul suolo di quei paesi la cui legislatura meno tutela i lavoratori ed il sociale.
In secondo luogo si creerà una sperequazione sociale fra lavoratori operanti nello stesso stato, con conseguente progressivo appiattimento verso il basso dei diritti e delle retribuzioni di coloro che lavorano nei paesi che fino ad oggi sono stati più attenti alla tutela del lavoro e dei diritti.
Più in generale s'introduce una cacofonia legislativa che da un lato deregolamenta completamente il mondo dei servizi e dall'altro esautora le organizzazioni sindacali e gli enti locali da ogni possibilità d'intervento.

La direttiva Bolkenstain non va letta come un errore di percorso, come un qualcosa di avulso al contesto nel quale l'UE si sta muovendo da ormai molti anni con risolutezza.
L'Europa del futuro, quella che man mano si sta tratteggiando, sia pur permeata dai falsi buoni propositi, sarà in realtà permeata dal progressivo regresso delle conquiste sociali che i suoi cittadini avevano conquistato nella seconda metà del novecento.
Si profila un domani da vivere (o sopravvivere) in un mondo del lavoro precarizzato oltremisura, dove lo stato di diritto e quello sociale diverranno ben presto retaggi del passato.
Un'Europa sempre più privatizzata, succube della competizione sfrenata, probabilmente più omogenea perché appiattita su un livello di qualità della vita decisamente più basso rispetto a quello di oggi.
Un Europa dove perderà sempre più importanza il valore dell'individuo, immolato sull'altare della competitività, del mercato e della concorrenza. Un'Europa sempre più schiava del capitale, delle Corporation, delle banche, delle grandi multinazionali. Ancora una volta il passato che ritorna viene spacciato per "nuovo" nell'intento di ottenere la supina accettazione da parte dell'opinione pubblica.

sabato 2 ottobre 2004

Quel male inguaribile chiamato povertà

Marco Cedolin

Lo sciopero della sanità indetto per lunedì 9 febbraio in tutela del “diritto alla salute” dei cittadini e contro le riforme del governo in materia sanitaria offre lo spunto per una riflessione sull’argomento, osservandolo dall’angolazione del malato, termine per forza di cose omnicomprensivo in quanto prima o poi tutti, ma proprio tutti, ci siamo trovati o ci troveremo in questa condizione.
Imputare al governo Berlusconi tutte le colpe di un sistema sanitario prossimo al collasso, minato da un marasma senza fine di storture e disservizi sarebbe un’operazione semplice ma non renderebbe certo giustizia alla verità. Al cavaliere si può addurre solo la colpa (e non si tratta di cosa da poco) di aver peggiorato una situazione preesistente già molto problematica, rendendo il “curarsi” un’operazione ormai insostenibile per una larga fetta della popolazione.
La riproposizione dei ticket, le liste di attesa che si protraggono in molti casi al limite della vergogna, il drastico taglio dei finanziamenti al servizio sanitario nazionale, mistificato sotto forma di una fantomatica “riorganizzazione”, il patetico tentativo di scimmiottare il discutibile modello americano, senza peraltro che esistano i presupposti per poterlo fare, sono solo alcuni dei punti che contribuiscono a rendere la situazione di chi si ammala ancora più dolorosa e problematica di quanto già essa non lo sia.

L’enorme autonomia di gestione in materia sanitaria che avranno le Regioni alla luce di quella “riforma”, che passa sotto il nome di federalismo o devoluzione pur essendo in realtà solamente un asservimento agli interessi di pochi, contribuirà inoltre a costruire in Italia 21 pessimi servizi sanitari, ognuno dei quali con le proprie regole, all’insegna della sperequazione sociale fra i cittadini.
Chi si ammala insomma sarà costretto sempre più a ricorrere a quell’ignobile confraternita di ricattatori senza scrupolo che costituiscono il sistema sanitario a pagamento, sempre ammesso ovviamente che ne abbia la disponibilità. Visite da 200 euro per garantirsi immediatamente il letto per un intervento altrimenti inarrivabile in una tempistica logica, esami e accertamenti da fare a pagamento il giorno dopo, poiché fra sei mesi potrebbero non servire più. L’alternativa per le classi non abbienti rimane una sola, curarsi male e tardi, senza che venga data loro la possibilità di combattere la malattia nei tempi e nei modi dovuti.

Scioperano dunque i medici, una categoria fra le più variegate e ricca di contraddizioni, una categoria il cui contratto è scaduto da due anni (ma in Italia i contratti scaduti rappresentano ormai la normalità), una categoria che comprende tanti ottimi dottori che percepiscono uno stipendio fra i più bassi d’Europa e altrettanti dottori “di nome” che, se privatamente non operassero totalmente in nero, fatturerebbero come una piccola industria.
Ho sentito da più parti i media dell’informazione esternare preoccupazioni per i disagi nei quali i malati sono incorsi lunedì ma raramente si parla dei disagi che i malati devono affrontare durante tutto l’arco dell’anno.
Persone già minate nel corpo e nello spirito, sulle quali si specula vigliaccamente in un vergognoso mercimonio della salute umana. Ben venga questa giornata di sciopero se, come spero riuscirà a destare l’attenzione dell’opinione pubblica, inebetita nel proprio microcosmo telediversivo.

Ammalarsi e ritrovarsi poveri (magari proprio a causa della malattia) è una disgrazia che può capitare a tutti, negare al malato senza portafoglio il diritto alle cure appropriate nei modi e nei tempi che la malattia stessa impone è solo l’ennesima manifestazione del cinismo col quale l’arrogante società contemporanea tratta le classi più deboli e disagiate. Un cinismo dinanzi al quale ciascuno di noi dovrebbe sentire il dovere d’indignarsi ogni giorno della settimana, di tutte le settimane del mese, di tutti i mesi dell’anno, perché la vergogna non si può relegare ad una data sul calendario.

martedì 21 settembre 2004

Sole, Baleno e i suicidi di Stato

Marco Cedolin

Ci sono accadimenti che non è possibile dimenticare, troppo scabrosi, inquietanti, troppo madidi di vergogna, perché li si lasci obliare senza che restino vivi dentro i nostri cuori e le nostre coscienze.
Ci sono storie, come quella di Sole, Baleno, Silvano che rimarranno marchiate a fuoco dentro la nostra anima. Storie che raccontano come gli assassini non sempre restino racchiusi dentro al bozzolo degli stereotipi che la nostra società c’impone, ma al contrario vadano ricercati in luoghi dove spesso i nostri occhi si rifiutano di vedere la verità.
Storie che narrano come la pratica dell’omicidio possa passare attraverso i manganelli della polizia, l’inquisizione pretestuosa dei giudici, il vigliacco sciacallaggio dei giornalisti asserviti al potere, i pregiudizi e il meschino atteggiamento di un’opinione pubblica che si rende complice dei mistificatori, sentenziando e condannando senza conoscere la realtà oggettiva dei fatti.

Il 5 marzo 1998 vengono arrestati tre anarchici: Silvano Pelissero, Edoardo Massari (Baleno) e l’argentina Maria Soledad Rosas (Sole). Convivevano nell’ex obitorio del manicomio di Collegno, occupato dal giugno 1996.
La sera dello stesso giorno, poliziotti e carabinieri invadono l’Asilo Occupato di via Alessandria, distruggono ogni cosa, rompono vetri ed impianti igienici, pisciano sui materassi e procedono allo sgombero. I tre anarchici vengono posti in isolamento senza che venga loro comunicato di cosa sono accusati.
Il 7 marzo il giudice per le indagini preliminari Fabrizia Pironti conferma l’arresto con l’accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo (art. 270 bis).

I Pubblici Ministeri Laudi e Tatangelo, veri registi dell’inchiesta affermano essere in possesso di prove granitiche e costruiscono un “castello accusatorio” alquanto improbabile, confidando nell’aiuto di quella sorta di circo equestre che è l’informazione mediatica di regime.
Proprio l’opera dei giornalisti, alla ricerca dell’effettismo esasperato si rivelerà infatti fondamentale nello screditare e demonizzare i gruppi anarchici vicini ai tre giovani, nell’enfatizzare il ritrovamento di prove che si riveleranno non essere tali, nell’indurre ad una sentenza di condanna l’opinione pubblica prima ancora che il processo sia iniziato.

Il 26 marzo il tribunale respinge ogni istanza di liberazione “in quanto esistono forti contiguità fra i tre indagati e gli autori degli attentati” ed “è elevatissimo il rischio di reiterazione di reati di natura analoga”.
Sabato 28 marzo all’alba, secondo la versione ufficiale, Edoardo Massari (Baleno) viene trovato agonizzante, impiccato con le lenzuola alla sua branda del carcere torinese delle Vallette.
Inquietanti le testimonianze degli abitanti delle case popolari antistanti il carcere che affermano aver sentito arrivare ambulanze e volanti a sirene spiegate già verso la mezzanotte.

Sabato 11 luglio anche Maria Soledad Rosas (Sole) muore suicida impiccandosi con le lenzuola al tubo della doccia nei locali della comunità Sottoiponti di Benevagienna dove era agli arresti domiciliari.
Per una strana ironia della sorte il 23 settembre morirà suicida anche Enrico De Simone, il fondatore della comunità Sottoiponti nella quale aveva trovato la morte Sole.
Il 6 agosto 1999 il consigliere dei verdi Pasquale Cavaliere, un uomo politico che pur agendo all’interno delle istituzioni era sempre stato vicino a Silvano anche nel momento in cui tutti gli davano addosso, muore in Argentina, impiccandosi, secondo la versione ufficiale con un cordone di spugna. Le circostanze della sua morte resteranno per sempre un mistero.

Il 31 gennaio del 2000 Silvano Pelissero, l’unico dei tre anarchici ad essere ancora in vita, viene condannato a 6 anni e 10 mesi di reclusione.
Il 21 novembre 2001 a Roma la corte di cassazione invalida l’accusa di attività terroristica con finalità eversive.
Il 4 marzo 2002, alla scadenza dei quattro anni di detenzione la magistratura emette l’istanza di scarcerazione di Silvano per decorrenze dei termini, l’anarchico sarà però effettivamente liberato solo il 12 in quanto i carabinieri lasceranno passare un’intera settimana prima di comunicare la notizia all’interessato.

L’intera vicenda, oltre alla drammaticità degli eventi ci rivela uno spaccato oltremodo angosciante sul valore della libertà personale e del rispetto per la vita all’interno di una società come la nostra nella quale i diritti dell’individuo vengono immolati senza pietà sull’altare del potere, un potere che simile ad un’infezione ha ormai intaccato in profondità il tessuto sociale e ci vuole schiavi, condizionati e sussiegosi nella supina accettazione delle regole.
Subito dopo l’arresto dei tre anarchici un presidio di protesta contro gli arresti e gli sgomberi che si sta formando davanti al municipio viene brutalmente caricato dalla polizia, la quale si profonde in una caccia all’uomo per le vie del centro cittadino. Nel corso degli scontri scientemente cercati dalle forze dell’ordine alcune vetrine cadono sotto i sassi.

Ecco l’episodio costruito ad arte per far si che i giornali possano prodursi nell’opera di demonizzazione degli squatter torinesi. Da quel giorno in poi tutti i pennivendoli delle più svariate estrazioni politiche si prodigheranno in un’opera denigratoria sistematica del movimento.
Gli anarchici verranno proposti dai giornalisti all’immaginario collettivo come teppisti, violenti, disadattati, ecoterroristi, schegge impazzite in balia del disagio giovanile e quant’altro. Coadiuvati in quest’opera dagli ospiti dei salotti mediatici della TV di regime, sociologi, psicologi, preti, politici di destra e di sinistra, criminologi, filosofi, ma in fondo sempre e solo patetici figuranti alla ricerca del proprio attimo di notorietà.
Perfino le scritte sui muri verranno enfatizzate quali atti criminali vergognosi e ciò rende il senso della palpabile atmosfera d’inquisizione che era stata creata alla bisogna.
Il ruolo dei media nel gettare discredito sugli squatter, nell’enfatizzare il rinvenimento di fantomatiche prove granitiche che mai verranno presentate al processo e nell’indirizzare in maniera univoca gli umori dell’opinione pubblica rivestì sempre un ruolo preponderante durante tutto il corso della vicenda. Anzi dopo la morte di Baleno, quando gli eventi esplosero in tutta la loro drammaticità “l’interesse” dell’informazione divenne se possibile anche più asfissiante.

Proprio la morbosa protervia dei giornalisti che decisero di non rispettare il desiderio della famiglia Massari di poter seppellire in pace il proprio congiunto in presenza solo dei parenti e degli amici (come era invece accaduto senza problemi al funerale di Giovannino Agnelli) ingenerò incidenti e tensione durante la cerimonia, ne fecero le spese il cronista Daniele Genco e l’auto dell’inviato del Manifesto Paolo Grisieri.
Questa fu l’occasione per un nuovo assalto dell’informazione nei confronti degli squatter (che ora oltre a spaccare le vetrine picchiavano anche i giornalisti) e della piaga dei posti occupati.
Il movimento reagì chiudendo ogni dialogo con la stampa, salvo poi indire una conferenza nella quale alcuni anarchici porsero ai cronisti accorsi libidinosi carcasse di pollo e scarti di macelleria.
Oltremodo curioso ed inquietante fu inoltre lo stato di estremo isolamento nel quale gli squatter vennero a trovarsi per lunghi periodi, anche all’interno della stessa area anarchica e nei confronti dei centri sociali che avevano assunto posizioni di collaborazione con le istituzioni.

Il Leoncavallo e i centri sociali del nord est ad esempio, manifestarono la propria solidarietà partecipando alla grande manifestazione del 4 aprile ma nel mese di agosto, durante il periodo dei pacchi bomba si dissociarono in una conferenza stampa nella quale invocarono il dialogo con il potere per bocca fra gli altri di Luca Casarini, quale portavoce dei centri sociali del nord est.
Una delle cause di questo isolamento è da ricercarsi nell’atteggiamento colpevolmente miope della stampa di sinistra (Il Manifesto, l’Unità, Liberazione, solo per citare gli esempi più eclatanti) che contribuì a diffondere notizie mistificatorie e senza fondamento alcuno secondo le quali Silvano Pelissero avrebbe avuto un passato di estrema destra ed addirittura delle collusioni con i servizi segreti.

Il mese di agosto fu quello dei pacchi bomba, inviati per posta al PM Laudi, al giornalista Genco, al consigliere regionale dei verdi Pasquale Cavaliere (uno dei pochi politici che subito dopo l’arresto si era interessato alla sorte dei tre squatter), a Giuliano Pisapia e al consigliere di Rifondazione di Milano Umberto Gay, pacchi bomba che come sempre accade non esplosero e non fecero danni né vittime. Tali attentati, se così li si può definire, vennero ovviamente rivendicati dai lupi grigi, la fantomatica organizzazione alla quale i tre anarchici erano stati accusati di appartenere.
Nonostante gli squatter si fossero immediatamente proclamati estranei alla cosa ed anche un bambino sarebbe riuscito facilmente a capire che ben altre mani si celavano dietro ai pacchi bomba, questa diventò l’occasione per criminalizzare ulteriormente il movimento ed isolarlo definitivamente dalla solidarietà della sinistra e dei centri sociali.

Tutta la drammatica storia di Sole, Baleno e Silvano ha come sfondo la costruzione della linea del TAV, adibita ai treni ad alta velocità.
Un progetto nel quale sono in gioco enormi interessi economici, interessi nel nome dei quali s’intende sventrare una delle più belle valli alpine con conseguenze a dir poco drammatiche non solo dal punto di vista ecologico ma anche da quello umano, poiché le realtà abitative dei residenti verranno stravolte in maniera significativa senza oltretutto ci sia per loro alcun genere di ritorno economico. In Valsusa inoltre, fin dai primi anni 90 s’intrecciano oscure vicende legate ai servizi segreti, ai carabinieri ed alla ndrangheta calabrese. Vicende che costituiscono un retroterra nebuloso e intricato, con vari personaggi inquietanti che si muovono nell’ambito della valle, evidentemente attratti dalla grande quantità di denaro che sta per affluirvi.

Fra l’agosto del 1996 ed il gennaio del 1998 in Valle di Susa si verificano numerosi atti di sabotaggio diretti contro centraline elettriche, trivelle, impianti della Sitaf, della Telecom, Omnitel e un ripetitore Mediaset.
Alcuni di essi possono facilmente essere ricondotti, per la scarsa difficoltà nel metterli in atto, all’arrabbiata reazione di qualche valligiano, altri invece sono stati compiuti da mani evidentemente più esperte.
Il furto e conseguente incendio nel municipio del comune di Caprie, l’unico “attentato” avvenuto in Val Susa del quale Laudi e Tatangelo cercano di addossare la responsabilità ai tre anarchici, è un accadimento che appare subito palesemente non avere nulla a che fare con la sequela dei sabotaggi avvenuti fino a quel momento, in quanto l’obiettivo (uno degli 11 comuni che fin dall’inizio si sono opposti all’alta velocità) non ha alcuna contiguità con quelli precedenti.
Innumerevoli furono le incongruenze nelle accuse che venivano mosse ai tre giovani.
Fin dall’inizio fu evidente come le indagini anziché partire da indizi precisi nel tentativo di arrivare ai colpevoli seguissero invece la logica perversa d’iniziare il tutto dai colpevoli preconfezionati per poi costruire intorno a loro delle prove che fossero in grado d’inchiodarli.
Le intercettazioni ambientali e l’uso delle telecamere non fornirono mai agli inquirenti delle prove tangibili ma vennero tuttavia usate in maniera pretestuosa nel tentativo di suffragare una tesi accusatoria che potesse sembrare verosimile. Alla stessa stregua vennero mistificati i risultati delle varie perquisizioni che mai avevano portato al ritrovamento di qualcosa di significativo.

Nonostante tutto il castello accusatorio fosse palesemente improponibile i colpevoli ormai erano stati scelti ed il teatrino dell’assurdo continuò e si trattò di una rappresentazione intrisa di morte, di rabbia e di dolore.
Credo ci sia una sola maniera di ricordare Sole e Baleno ed è la maniera nella quale da sempre lo fanno tutti coloro che gli erano e gli sono vicini.
Credo sia giusto ricordarli con la dignità che spetta a due ragazzi che hanno trovato la morte mentre erano ingiustamente privati della loro libertà. Ammazzati da una macchinazione meschina, da chi l’ha messa in atto e ne ha tirato le fila, da chi l’ha sostenuta rendendola possibile, nonché da tutti coloro che con il proprio vigliacco qualunquismo hanno fatto si che l’urlo della protesta si perdesse nel nulla. Credo la maniera migliore di ricordarli sia quella di non rinunciare mai alla libertà del nostro pensiero, alla convinzione nelle nostre lotte, ad essere uomini e donne che non si lasciano strumentalizzare, che non sono disposti a diventare pedine nelle mani del potere, che non sono disposti ad arrendersi, né ora né mai.

giovedì 29 luglio 2004

Un Fiorino

Marco Cedolin

Negli ultimi 40 anni il potere d'acquisto di un salario in Italia si è ridotto ad un quarto di quello preesistente.
All'inizio degli anni 60 una cena al ristorante per tre persone costava circa 2000 lire (1 euro), oggi 3 persone al ristorante con 100.000 lire (50 euro) faticano a mangiare.
Un salario base nei primi anni 60 era di circa 150.000 lire (75 euro) col quale, poiché la matematica non è un'opinione si poteva cenare in 3 al ristorante la bellezza di 75 volte, nel caso si detestasse proprio restare a casa la sera.
Oggi un salario base si aggira sui 2.000.000 di lire (1000 euro) con i quali 3 persone, se il frigorifero è vuoto, potranno cenare al ristorante 20 volte.
Negli anni 60 una famiglia con un figlio, nella quale lavorava una persona sola, riusciva conducendo una vita normale e dignitosa a destinare al risparmio circa un terzo delle proprie entrate.
Oggi la stessa famiglia, nella quale però lavorano entrambi i coniugi non riesce ad arrivare a fine mese ed il più delle volte sfora il tetto delle proprie entrate, vedendosi costretta a ricorrere al credito al consumo.


Agosto ormai è praticamente arrivato, la TV ed i giornali che da oltre un mese si limitano a tenerci informati, con dovizia di particolari, riguardo alle liti fra AN e UDC, Lega e UDC, AN e Lega, nonché a renderci edotti del fatto che fa caldo, occorre bere molto e seguire la dieta mediterranea, stanno già preparandosi a documentare, con l'enfasi deputata agli eventi di massima importanza, l'evolversi del grande esodo che a fine settimana indurrà milioni d'italiani ad esondare festanti dalle grandi città verso i luoghi di villeggiatura.
Il governo però, o meglio quella congrega d'incompetenti che si stanno profondendo nella non difficile impresa di traghettare l'Italia verso l'Argentina, sembra stia approfittando proprio del comprensibile disimpegno generalizzato, indotto dalla canicola e dal desiderio di vacanza, per scagliare verso il cittadino alcuni colpi ferali che contribuiranno a renderlo sempre più sudamericano.
E' di qualche giorno fa la fiducia imposta sulla manovra finanziaria che ha raddoppiato il coefficiente di rivalutazione catastale sulle seconde case, sui terreni ed altri fabbricati (ai fini dell'imposta di registro) nonchè aumentato le marche da bollo.
E' di ieri la fiducia (la sesta in 3 mesi) imposta ed ottenuta dal governo riguardo alla scandalosa riforma delle pensioni. Una riforma che peserà come un macigno sulle spalle degli italiani e non mancheremo in futuro di analizzare dettagliatamente.
Per ora mi limito a constatare il fatto che gli unici lavoratori per i quali in futuro non varranno le nuove regole, saranno i militari e le forze di polizia, una sorta di “razza eletta” tutelata e coccolata dal governo, sia dal punto di vista economico, sia da quello penale, quando i suoi membri devono rispondere di qualche reato dinanzi alla legge.
Nonché a mettere in evidenza gli assurdi e criminali incentivi previsti per coloro che resteranno al lavoro pur avendo maturato i requisiti per la pensione d'anzianità. Più 32,7% in busta paga per questi signori che contribuiranno a lasciare senza lavoro i propri figli e nipoti.

Come se non fosse già sufficientemente penoso assistere all'ennesimo record raggiunto dal prezzo della benzina, che ha sforato quota euro 1,20 si è pensato di tirare un nuovo calcio in faccia agli automobilisti (termine che racchiude praticamente tutti i cittadini italiani maggiorenni e non ancora ottuagenari) e l'autore del nobile gesto è da ricercarsi nella persona del ministro per le infrastrutture ed i trasporti Pietro Lunardi. Un uomo che in qualunque paese civile sarebbe inibito dal ricoprire questo ruolo, essendo palese e gravissimo il conflitto d'interessi fra la sua attività di ministro e la gestione della Rocksoil, azienda di famiglia, fra le principali imprese di costruzioni autostradali, legata a doppio filo alla Società Autostrade e direttamente impegnata nella costruzione delle “grandi opere.”

Lunardi ha reso edotti gli italiani del suo progetto, già inserito nel “programma infrastrutture strategiche” allegato al documento di programmazione finanziaria, che consisterà nell'estendere il pedaggio autostradale anche a 4500 km. di strade statali gestite dall'Anas. I tratti nei quali sarà imposto il balzello sarebbero perfino già stati scelti dal ministero e saranno, pare di capire, strade statali ad alta percorrenza.
Lunardi ha poi chiuso il proprio intervento affermando trattarsi di un giusto prezzo che i cittadini dovranno pagare per avere servizi di livello e spiegando che le nuove risorse serviranno a finanziare la costruzione delle “grandi opere”.
Nonché additando gli abitanti del sud come sanguisughe che non hanno mai pagato i pedaggi autostradali.

L'automobilista italiano (noi tutti) già vessato dalla piovra delle assicurazioni, dal vergognoso prezzo della benzina (costituito in buona parte da tasse) da quella ridicola messinscena a scopo di lucro che è la patente a punti, dalla vessazione delle super multe comminate illegalmente tramite l'ausilio delle telecamere, dalla tangente dei ticket posteggio che levitano ogni giorno, da un'esosa tassa di circolazione (pagata per avere servizi di livello) e ormai diventata in realtà una tassa di possesso; sarà chiamato dunque a svenarsi, ancora una volta e ancora un po' di più.
A svenarsi per finanziare la vergognosa cementificazione della pianura padana fra Torino e Milano, una delle più aberranti ed inutili opere che siano state intraprese in Italia.
A svenarsi per far si che nel nome del TAV, una vallata alpina come la Valle di Susa, venga sventrata e stuprata in ossequio ad un progetto senza senso.
A svenarsi perché anziché investire nella sanità, nell'occupazione e nella scuola, un governo ebete possa perseguire la costruzione di quella sorta di torre di Babele che sarà il ponte sullo stretto di Messina.
A svenarsi per foraggiare la Rocksoil, proprietà del ministro che disserta di giusti prezzi e grandi opere da finanziare.

Andiamo tutti a goderci i servizi in TV sul gioioso dipanarsi del grande esodo, felici del fatto che la TV si possa finalmente vedere, con piccola spesa, anche sullo schermo del nostro telefonino, che emozione la tecnologia.
Chi siete? Quanti siete? Cosa trasportate?, si, ma quanti siete? Un fiorino!

lunedì 28 giugno 2004

Chiuso per ferie

Marco Cedolin

Finalmente oltre alle elezioni sono finiti anche i ballottaggi. Mentre arriva la canicola, a ricordarci che siamo oramai in piena estate, ogni problematica sembra miracolosamente ricomporsi, onde permetterci di andare in vacanza sereni, senza altro pensiero che non sia quello di fuggire verso i mari o i monti, alla ricerca del refrigerio e della serenità perduta.
Silvio Berlusconi senza dubbio ha subito una sconfitta cocente, peraltro prevedibilissima dopo due anni di malgoverno portato avanti in maniera artigianale, insieme alla congrega d'incompetenti, scelti a sua immagine e somiglianza.

Una sconfitta nei numeri comunque molto meno devastante di quanto fosse lecito attendersi da parte di elettori che vivono in un paese che versa ormai in stato di completo sfacelo.
Così nonostante la debacle il cavaliere dell'informazione resta tranquillamente in sella e può apprestarsi a malgestire, con la capacità che ormai conosciamo, i prossimi due anni, con l'unico problema di dover ricomporre le beghe all'interno della maggioranza. Un problema tutto sommato piccolo piccolo per chi deve rapportarsi con i propri “sudditi-alleati”che sono ben consci di non avere alcun futuro, se non quello di restare aggrappati al condottiero in doppiopetto.

L'Iraq finalmente è tornato ad essere uno stato sovrano, si tratta di una democrazia figlia di un rapporto osmotico derivato da quella americana e non del responso di libere elezioni, ma questa in fin dei conti è una realtà di scarsa importanza.
Ciò che conta è che adesso gli iracheni hanno un governo costituito da membri della propria razza, membri che magari negli ultimi anni hanno prestato servizio presso la Cia, membri non molto amati dalla popolazione che quando può li induce a passare a miglior vita, ma non si può cercare sempre il pelo nell'uovo.

L'importante è che ogni problematica tenda a ricomporsi, c'è già l'afa canicolare a turbare le notti dei consumatori che nei prossimi due mesi saranno chiamati a spendersi in weekend e vacanze, senza risparmiare neppure una briciola dell'amor patrio che brucia loro dentro.

Le beghe elettorali sono passate, l'Iraq è di nuovo (anzi per molti finalmente) un paese libero che vive in pace, gli ostaggi italiani sono finalmente tornati a solcare il suolo natio, le scimitarre smetteranno come per miracolo di decapitare le teste degli infedeli, del problema palestinese non si parla ormai da tempo, la produzione industriale sta conoscendo un mirabolante incremento da quando sono iniziate le esportazioni su Marte, le ipotesi di recessione ingenerate dalla fantasia dei pessimisti sono solo inutile chincaglieria da gettare dietro le spalle, quando ci si ritrova in coda, fra le lamiere gommate, in mezzo all'autostrada.

Ed ecco che i giornali e la TV potranno ricominciare a parlare di fitness, delle diete dimagranti per ritrovare un fisico perfetto, riappariranno gli esperti dagli sguardi imbolsiti che dispenseranno con estrema competenza consigli su ogni cosa: combattere l'afa? Basta bere molto e non uscire di casa, se poi si possiede qualche rudimento da fachiro è consigliabile ridurre anche le pulsazioni cardiache…la forma fisica? La dieta mediterranea è la miglior panacea contro ogni inestetismo, compresi quelli della cellulite…viaggiare sicuri? Basta seguire le regole del nuovo codice, viaggiare allacciati al sedile, restare ordinatamente in coda, fermarsi a guardare l'orsa maggiore, con il giubbottino arancione addosso dopo ogni ora di viaggio, non essere stanchi, ascoltare radio maria e naturalmente non dimenticarsi di bere molto.

martedì 25 maggio 2004

Le idi di maggio

Marco Cedolin

E' bella questa festa della primavera, con il crepuscolo che gioca a sospingere indietro la sera, ed il primo albore del mattino che ti sorprende, mentre ancora stai assaporando il silenzioso abbraccio della notte.
E' bello questo risveglio dei sensi, il ridestarsi della natura che freme, ebbra d'entusiasmo e voglia di rinascita, l'aria che si fa tiepida, il profumo del tiglio, la vita che germoglia in ogni dove.

Quanta emozione ha ridestato in noi il magniloquio di Silvio Berlusconi, finalmente tornato alla favella, quando ormai tutti lo credevamo, perso irrimediabilmente dentro al suo mutismo.
Quanta salienza nelle sue esternazioni magicali, che hanno dato coscienza anche a noi, piccoli uomini, di essere parte di quell'umanità da lui miracolata in questi anni di ottimo governo illuminato. In questi anni nei quali il miracolo è pian piano germogliato, fino a sbocciare nel ritrovato benessere ed in questo clima festaiolo del quale tutti ci sentiamo partecipi.
Mirabolanti miracoli ed effetti speciali, nel tirare fuori dinanzi a tante faccette stupite, perfino la salma del povero Quattrocchi, fuoriuscita, come per incanto dal cappello del prestidigitatore.
Sarà lui? Non sarà lui? In fondo è passato tanto temp0, come si fa ad esserne sicuri.


I medici di stato sembrano propendere per il si, dopo lunghe ed attente analisi, che hanno portato alla luce un anello regalato dalla fidanzata, prova inequivocabile dell'identità, ottenuta grazie a tecniche di ricerca d'avanguardia che tutto il mondo c'invidia. La famiglia ha comunque richiesto l'intervento di un proprio perito, non perché manchi la fiducia nelle nostre istituzioni, ma semplicemente come contribuzione al miracolistico incremento dell'occupazione.
Il funerale si svolgerà in forma privata o si tratterà di un funerale di stato, di quelli con i tricolori, i cavalli che trottano al ritmo dell'inno di Mameli ed i carabinieri, vestiti tutti eleganti col pennacchio rosso e l'andatura ritmata che con la mente ci porta già alla sfilata del due giugno?

Il due giugno, quando sfileranno i soldati impettiti, con gli sguardi fieri, con quel passo marziale figlio di ore di allenamento nei cortili sonnolenti delle caserme.
Quando sfileranno i carri armati, sfrecceranno gli aerei da guerra, macchine di morte presentate come simulacri di civiltà.
Sfileranno fra due ali di folla plaudente, di italiani ormai americanizzati, con le loro bandierine tricolori, agitate in una sorta di tic motorio.

Ma la vera gioia dell'anima, per tutti quegli italiani che respirano un cielo a stelle e strisce, arriverà solo il quattro di giugno, quando G.W. Bush in persona, proprio lui, non sembra neanche vero, calcherà il suolo del suo alleato più fedele, dandoci la possibilità di ammirarlo in tutta la sua interezza, dopo tanta trepidante attesa.
Altri cavalli (o muli?), altri pennacchi, altre parate, altri miracoli, che germogliano, sotto al sole.

Entro un mese o poco più l'Iraq avrà un governo, suo, sì proprio suo, fatto d'iracheni veri. Non sarà un governo votato dal popolo, la gente lì è troppo impegnata a fare terrorismo, rapire, sparare, dove troverebbe mai il tempo per andare alle urne? Per adesso, ma solo per questa volta, il governo iracheno lo sceglierà G.W Bush in persona, proprio lui, che avrebbe un mare di cose più importanti da fare, ma attingendo alla propria bonomia si sacrificherà ancora una volta per gli altri.
Resteranno anche i soldati, quelli americani, inglesi, italiani, polacchi, giapponesi, e forse arriveranno anche quelli dell'ONU ed una contribuzione dei fascisti su Marte che, si sa, la loro presenza non guasta mai.
Tutti a proteggere il nuovo governo democratico ed il nuovo petrolio “del popolo”, quello che tutti gli iracheni, dimesse le armi e ormai dimentichi del terrorismo, potranno raffinare dentro le loro case, ognuno a modo suo, in completa libertà.
Non stanca mai la festa della primavera, con i suoi suoni dolci, le stellate notturne, la sua origine celtica, che si strugge in antiche melodie, senza tempo.

domenica 9 maggio 2004

Rapporti confidenziali

Marco Cedolin

Il Movimento della Croce Rossa opera nel campo dell'aiuto umanitario sulla base di sette principi fondamentali comuni, adottati dalla XXa Conferenza Internazionale della Croce Rossa svoltasi a Vienna nel 1965, che costituiscono lo spirito e l'etica della Croce Rossa e della quale sono garanti e guida. Essi sintetizzano i fini del Movimento ed i mezzi con cui realizzarli e sono nell'ordine: "L'UMANITA' - L'IMPARZIALITA' - LA NEUTRALITA' - L'INDIPENDENZA - IL CARATTERE VOLONTARIO- L'UNITA'- L'UNIVERSALITA'".
Già da questa sintetica dichiarazione si evince dunque come la Croce Rossa si proponga per sua stessa affermazione come un movimento umanitario super partes, coeso nello sforzo di alleviare e prevenire in ogni circostanza le sofferenze degli uomini, nonché sempre per sua stessa affermazione si preoccupi di diffondere l'educazione alla salute e la conoscenza dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario.
“Dignità per tutti” era infatti il motto che la Croce Rossa affermava di volere realizzare nel primo decennio di questo millennio.

Ho fatto questa breve premessa poiché in tutta l'aberrante vicenda delle torture compiute dai soldati angloamericani nei confronti dei prigionieri iracheni (e non solo), in tutte le vergognose notizie che giorno dopo giorno si arricchiscono di nuova vergogna e nuovi particolari, credo esista un'incongruenza di fondo che continua a tormentarmi e più scaccio il pensiero, più questo mi si ripresenta vivido alla mente.
La Croce Rossa da oltre un anno sapeva tutto ma non si è mai minimamente preoccupata di denunciare pubblicamente cosa stava realmente accadendo nei lager d'Iraq!

La Croce Rossa internazionale ha affermato in questi giorni di aver consegnato più di un anno fa all'amministratore USA in Iraq Paul Bremer un rapporto sugli abusi dei militari statunitensi nei confronti dei prigionieri iracheni, questo naturalmente in forma confidenziale, poiché l'umanità, l'imparzialità, la neutralità e l'indipendenza hanno consigliato a questi signori di guardarsi bene dall'informare il mondo intero del piccolo particolare che in Iraq i soldati americani torturavano in maniera diffusa i propri prigionieri.
Solo dopo che la Tv americana CBS, mandando in onda le prime foto ha aperto all'opinione pubblica mondiale la porta della stanza degli orrori; la Croce Rossa ha incominciato a fare dichiarazioni, asserendo di aver inviato rapporti riguardanti gli accadimenti alle autorità di Washington a quelle Britanniche nonché a Paul Bremer
E'strano come i responsabili della Croce Rossa, dopo avere informato i vertici politici degli stati implicati nei casi di tortura, non abbiano ritenuto giusto denunciare le torture (nella logica di lenire e prevenire la sofferenza degli uomini) anche presso gli organi d'informazione e trattandosi di crimini contro l'umanità, presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Molto probabilmente se questo fosse avvenuto, molti di coloro che durante questo anno sono stati ammazzati, storpiati, violentati e seviziati avrebbero conosciuto una sorte diversa.
Francamente non mi riesce proprio di capire cosa sia o voglia essere un'organizzazione che agisce come ha fatto la Croce Rossa. La pratica omertosa mal si sposa con i principi umanitari, chi sia a conoscenza di un delitto e tuteli il colpevole attraverso il proprio silenzio diventa automaticamente suo complice e poco importa il fatto che abbia sussurrato nell'orecchio dell'assassino che stava compiendo una cattiva azione.

L'impressione più attendibile è quella che anche la Croce Rossa, come l'ONU faccia parte di quelle organizzazioni che a dispetto delle belle parole che compaiono nel loro statuto si sono invece appiattite su una logica di servilismo nei confronti del potere che le gestisce e con esse gestisce a proprio uso e consumo anche i contributi che i donatori in buona fede elargiscono in tutti i paesi del mondo.Solamente una vergogna di più su questa strada dell'imperialismo coloniale d'inizio millennio già lastricata di vergogne senza fine. Strano come in questo mondo globalizzato, all'insegna dello strapotere massmediatico si finisca sempre con lo scoprire che tutti sapevano tutto, tranne noi.

giovedì 29 aprile 2004

Oggi le comiche

Marco Cedolin

Nello sfogliare le pagine dei quotidiani in questi ultimi giorni di aprile si percepisce come l’impressione che tutti coloro che sono intorno mentre leggi, sull’autobus, al bar, in ufficio o seduto sulla panchina dei giardinetti, ti stiano osservando ridacchiando sotto i baffi, mentre se la godono un mondo a vedere l’effetto che fa ed attendono il momento giusto per sganasciarsi senza freni ed urlarti “Cretino! Ma ci avevi creduto veramente?”
In effetti i giornali di casa nostra, mentre il sole si fa sempre più caldo a ribadire che è primavera, somigliano sempre meno a serie testate d’informazione e sempre di più a quelle meravigliose copie de “Il Male” che (chi ha tanti anni sulle spalle come me certo lo ricorderà) furoreggiavano negli anni 70, quando scimmiottavano in maniera deliziosa le prime pagine dei quotidiani con notizie improponibili, dissacranti o sconvolgenti.

Le Brigate Verdi, non vi sfugga la sottile omonimia con quelle di casa nostra dipinte però di altro colore, si dilettano nel rapimento d’italiani glabri, in tuta mimetica e armati fino ai denti, in libera circolazione sul suolo d’Iraq, per poi ripresentarli in video con tanto di barba e vestiti in maniera più adeguata al clima e alle circostanze, mentre in tutta tranquillità consumano il desco.
Le Brigate Verdi di Maometto (prima avevo dimenticato l’allusione al Profeta) praticano dunque il rapimento a scopo d’estorsione ma l’oggetto del riscatto si dimostra in verità quanto mai originale. Non soldi, né fama, né armi, né prigionieri politici ma una manifestazione.
Sì, una manifestazione per la pace, una di quelle manifestazioni che in Italia si sono fatte decine di volte con grande partecipazione di noi italiani,che però ci portiamo sempre quella mortificante jella appiccicata sulla schiena. Quando ci ritroviamo tutti d’accordo su qualcosa (in questo caso la pace) il governo decide immediatamente per il contrario (la guerra) e si rimane con un vago senso di frustrazione nell’animo.

Se i rapitori di un qualche miliardario che si stava rosolando in Sardegna, comodamente stravaccato sul suo 20 metri sotto il sole primaverile, pretendessero come riscatto una manifestazione a Milano contro la riforma Moratti o un corteo a Napoli contro la legge Gasparri, sicuramente si penserebbe al gesto di qualche squilibrato e la cosa non verrebbe presa nella minima considerazione. Ma nel caso delle Brigate Verdi la questione si pone certo su un piano di ben diversa natura. Gli islamici sono strani, non ragionano come noi, è impossibile decifrare i loro percorsi mentali che ci sono sconosciuti.
Così il circo della carta stampata si rappresenta infarcito di dichiarazioni di uomini politici, opinionisti, famigliari, preti, vescovi, giornalisti, esperti, tutti profusi in serie considerazioni sul da farsi. “Manifestare a comando mai!” “non cederemo ad alcun ricatto” “usiamo la manifestazione del primo maggio che tanto la fa la sinistra che è contro la guerra” “Ma se riciclare una manifestazione preesistente non bastasse?”
“Italiani vi preghiamo scendete in piazza a manifestare contro l’occupazione in Iraq” lo gridano i famigliari degli ostaggi e i sindaci dei loro paesi.
“Italiani restate a casa e non cedete ad alcun ricatto” lo gridano i politici tutti, siano essi della maggioranza o dell’opposizione.

E sull’onda di questa farsa, parodiata in maniera tragicomica da commedianti buoni forse solo per la Corrida, ecco che l’italiano si ritrova col giornale fra le mani e gli sguardi di chi gli sta intorno sulla schiena con la netta sensazione di non capirci più nulla; cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa deve o non deve fare. Verrebbe quasi voglia di abbandonarsi all’ilarità e mormorare fra sé e sé guarda che pollo ci ero quasi cascato, se non fosse per il fatto che prima della commediola delle Brigate Verdi di Maometto, il massacro del popolo iracheno ed il movimento pacifista che reclamava la sua libertà erano delle cose serie, prima appunto.

venerdì 16 aprile 2004

Unreality show

Marco Cedolin

Qual è la linea di demarcazione che separa la realtà dalla finzione, e quanto c’è di reale nelle rappresentazioni degli accadimenti che giungono fino a noi sceneggiati, interpretati, plausibili. Già, plausibili: la realtà, in natura, quando esiste, libera di fluire senza la forzatura di un copione, senza dover sottostare alle leggi dell’audience, senza la costrizione di dover creare in chi la osserva del pathos, non sempre è plausibile, né perfetta, né tantomeno spettacolare.
Ma la nostra realtà si. Nella nostra realtà nulla sembra lasciato al caso e all’imponderabile, tutto ciò che accade (o viene fatto accadere, o sembra essere accaduto) è figlio illegittimo di un' abile sceneggiatura. Ogni cosa accade nella maniera più spettacolare, nei tempi giusti, nei modi più appropriati, senza sbavature, senza contrattempi, come in un film.

La vicenda delle quattro guardie private rapite e tenute in ostaggio in Iraq e l’uccisione di una di esse è ad esempio una di quelle che lasciano perplessi per i tanti aspetti che la fanno somigliare più ad un B-movie americano piuttosto che a un fatto di cronaca appartenente alla realtà.
Tutti i pezzi del mosaico sembrano disposti ad arte nel rappresentare una realtà plausibile, drammatica, straziante e coinvolgente; ma resta come sottofondo una nota stonata, la sensazione di trovarsi di fronte ad un reality show.

Le Falangi Verdi di Maometto, il fantomatico gruppo dei sequestratori non lo avevamo in verità mai sentito prima, non ha una storia né un’identità, ma il nome così altisonante e “islamico” sembra perfetto per porsi al centro della scena. In egual misura la richiesta dei rapitori per la liberazione degli ostaggi è di quelle improponibili, seppure di grosso effetto.
Pretendere il ritiro del contingente militare italiano (e non la liberazione di qualche prigioniero politico come è realmente varie volte accaduto in passato) equivale alla pretesa ridicola di 200 milioni di dollari e un elicottero per non distruggere il mondo, leitmotiv di tanti telefilm sui generis. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta del governo italiano che, anziché proporre toni morbidi nell’intento di prendere tempo e consentire eventuali trattative segrete, come sempre avviene in questi casi, ha preferito esternare un’intransigenza tronfia e caricaturale, non senza preoccuparsi della sorte degli ostaggi.
La sensazione di trovarsi dinanzi ad una pellicola ha poi raggiunto il massimo durante la serata di mercoledì, quando la rappresentazione è sembrata dipanarsi secondo un meccanismo ben oliato studiato fin nei minimi dettagli. La serata nel teatrino di Porta a Porta, ormai assurto a succedaneo del parlamento, del Quirinale e di ogni altra istituzione dello stato italiano.
Una serata insolitamente in diretta, quasi la drammaticità del divenire fosse stata prevista. Ospite fra gli ospiti il ministro degli esteri Frattini, uomo che avrebbe dovuto trovarsi ben lontano dagli schermi TV, impegnato a compiere il proprio lavoro, che consisteva nel seguire la vicenda dalla sede deputata ad impegni di questo tipo.
Gradita la presenza in sala di alcuni parenti dei malcapitati ostaggi, tranne per una strana ironia del destino i parenti di Quattrocchi.
La notizia dell’uccisione vissuta in diretta, veicolata presso l’emittente araba Al Jazeera da una di quelle videocassette che oramai sembrano l’unico anello di congiunzione fra l’immaginario collettivo e la realtà dei fatti, una realtà comunque sempre filmica in quanto impressa sopra ad un nastro VHS. Il pathos che aleggia fra gli ospiti dello studio nell’attesa di una conferma o smentita dell’uccisione, con il ministro Frattini nell’inusuale veste di spettatore fra gli spettatori, lui che la logica avrebbe voluto in prima linea nell’appurare i fatti.
Poi lo sgomento, i pianti, la disperazione dei parenti degli altri ostaggi, tutto in diretta TV, tutto parte di un reality show nel quale anche le pause, le notizie, le attese, le lacrime sembravano frutto di un’attenta regia; ogni cosa al momento giusto, ogni cosa al punto giusto, senza sbavature.

Avete presente quando si esce da una sala cinematografica e si percepisce come una piccola sensazione di esaltazione? Se abbiamo visto un film di azione viene quasi voglia di menare le mani, un film ispirato ai buoni sentimenti ci rende per qualche momento più inclini alla bontà, uno d’amore ci spinge a donarci all’anima gemella e così via. Ecco,dopo l’overdose emozionale del Porta a Porta di mercoledì sera sentiamo chiaramente di poter discernere la verità con una chiarezza mai sperimentata prima.
In Iraq non esiste un popolo in rivolta ma solo terroristi sanguinari. Il terrorismo va combattuto ed è giusto che i nostri soldati (che lo combattono) restino là tutto il tempo necessario. Fabrizio Quattrocchi è stato ammazzato dagli arabi ed è morto come un eroe invocando il nome della Patria.
E gli arabi che stanno tentando d’invaderci dovranno passare sul cadavere di noi tutti prima di riuscire a farlo.Ma qualcuno di voi ricorda in che anno la colonia d’Iraq è stata annessa alla madrepatria?

martedì 13 aprile 2004

Agnelli sacrificali

Marco Cedolin

Mentre in Iraq continua lo sterminio senza fine, l'ecatombe di un popolo che mai avrebbe voluto vedere da vicino la vera faccia della "democrazia"; mentre l'egoarca a stelle e strisce, forte della propria edacità si effonde con sempre maggiore violenza in un genocidio per il quale mai ci potrà essere perdono, da noi in Italia, il ministro Frattini asserisce con sciolta noncuranza come "non si tratti assolutamente di guerra e sia azione irresponsabile ritirare i nostri soldati".
Impossibile non restare basiti dinanzi a parole così imbevute di mistificatorio pressappochismo.
Non sappiamo che idea abbiano della guerra quel salapuzio di Silvio Berlusconi ed i suoi dipendenti, ma se c'è qualcosa che appare lapalissiano a qualunque persona osservi i fatti in buona fede è come la guerra in Iraq non sia mai finita e si manifesti in queste settimane più sanguinosa che mai.
L'ostinazione indisponente con la quale il governo e purtroppo anche una parte di quella che dovrebbe essere l'opposizione, continuano a spacciare i mercenari tricolore sotto le mentite spoglie di una missione umanitaria è al contempo disarmante ed offensiva, quasi quanto il riso sardonico della patetica Star di Porta a Porta.

I mercenari italiani, raccomandati e superpagati (ma nessuna cifra potrà mai valere la vita di un ragazzo di vent'anni), non si trovano in Iraq per costruire asili e dare pacche sulle spalle ai poveri orfanelli, come la consorteria che da noi gestisce il potere continua a ripetere mentendo spudoratamente anche di fronte all'evidenza dei fatti. I soldati italiani fanno parte di una coalizione che opera sotto comando americano, occupa in armi il territorio di uno stato sovrano, uccide, strazia, bombarda, annienta e quegli orfani continua a crearli giorno dopo giorno, quando non sono i bambini stessi le vittime dei massacri.
I soldati italiani che martedì mattina hanno assassinato 15 persone in quel di Nassiriya non sono una forza di pace né stanno intrattenendo un corso di "pace keeping" con finalità umanitarie.
Sono ragazzi addestrati e pagati per combattere (anche se quei morti credo resteranno per molto tempo a turbare i loro sonni) in difesa della propria patria, proiettati invece, contro i dettami della nostra costituzione in un'assurda e sanguinaria guerra di conquista.

In Iraq non è in corso un'operazione antiterrorismo ma una carneficina senza fine e senza senso.
Gli iracheni, abbiano essi imbracciato o meno un fucile, sono uomini, né più né meno di come lo siamo noi occidentali.
Uomini ai quali è stata bruciata la casa, annientata la famiglia, tolto il lavoro, calpestata ogni dignità.
Uomini che noi ci permettiamo di giudicare imbarbariti e incivili qualora manifestano il proprio odio nei nostri confronti.
Uomini ai quali abbiamo ritenuto giusto imporre la nostra "democrazia" fatta di bombe all'uranio, di missili, di elicotteri Apache, di carri armati, di morte e disprezzo.
Uomini che abbiamo calpestato in virtù della nostra sfrenata egolatria che ci porta a considerarli solo carne da macello, quasi solo alla razza eletta fosse dato il privilegio di avere un'anima.
Uomini ai quali, forti della nostra supponenza, pretendiamo d'imporre la nostra cultura e la nostra religione mediante l'uso delle armi.
Uomini che abbiamo ricacciato indietro nei secoli fino al medioevo, regalando loro per gli anni a venire un territorio radioattivo come i dintorni di Cernobyl.

Tutti coloro che asseriscono non ci ritireremo mai e che ancora si ostinano, dando sfoggio della propria demente ecolalia, a sostenere la necessità del nostro contingente mercenario, quale contributo ad una pace che esiste solo nell'immaginario collettivo di chi si rifiuta di guardare in faccia la realtà, non fanno altro che aggiungere vergogna alla vergogna.
Seguiti a ruota nell'ignominia da chi si schiera a favore di un futuribile ritiro a giugno delle truppe, di fantomatici mandati dell'ONU e di ogni altro escamotage che giustifichi la nostra presenza in armi sul suolo iracheno.

Anziché preoccuparci di presidiare 13421 obiettivi sensibili fingendoci vittime del terrorismo islamico che a tutt'oggi in Italia non è stato responsabile neppure di un ferimento lieve, occorre ritirare subito e non a giugno uomini ed armi dal suolo iracheno. Occorre ritirali subito non per codardia o per manifesta paura di ritorsioni terroristiche, bensì perché stanno combattendo una sporca guerra di conquista che non ci appartiene, né mai ci apparterrà.

lunedì 5 aprile 2004

Caccia alle streghe

Marco Cedolin

Chiunque nelle ultime settimane abbia prestato attenzione ai messaggi provenienti dai media dell'informazione, si sarà certamente accorto di una particolarità a dir poco curiosa che caratterizza il nostro paese.
L'Italia si distingue inequivocabilmente per il grandissimo numero di persone dedite all'arte del terrorismo e al fiancheggiamento dello stesso.
Si potrebbe quasi azzardare l'ipotesi che almeno un residente su cento sia legato in qualche misura alle pratiche terroristiche, tanti e tali sono stati in così pochi giorni i ritrovamenti di ordigni, gli arresti, le trame oscure sventate e quelle ancora più oscure che per il momento vengono solo monitorate.
Il quadro della nostra realtà, quello partorito dal tubo catodico e dalle pagine stampate per intenderci, non quello che emerge dalla vita reale di tutti i giorni, sembra essere costellato da una miriade senza fine di gruppi, gruppetti e gruppuscoli di facinorosi che hanno scelto la pratica terrorista quale scopo della propria esistenza.
Cerchiamo allora di capire insieme se veramente stiamo convivendo, senza essercene mai accorti prima, con un nugolo di bande armate o sedicenti tali oppure se l'informazione di regime è affetta da una sorta di macropsia in virtù della quale vede un dinosauro laddove alligna solo una piccola formica.

In primo luogo rifacciamoci al passato per comprendere quali nella storia recente siano stati i gruppi terroristici di stampo politico che realmente hanno calcato la scena del nostro paese.
Ci renderemo conto che le Brigate Rosse, quelle vere degli anni 70, insieme a Prima Linea e ad alcuni altri piccoli gruppi che gravitavano nella medesima area, restano l'unico esempio che abbia una qualche attendibilità.
Tutta l'eversione nera risalente alla medesima epoca non può annoverarsi all’interno di un progetto volto a sovvertire l’ordine dello Stato, bensì alla scelta di ricorrere alla lotta armata, operata da gruppi quantitativamente esigui e generalmente privi di un vero e proprio progetto rivoluzionario. Gruppi il cui nome è spesso stato usato dai servizi segreti ed altre eminenze grigie deviate per coprire la vera natura della strategia della tensione e le stragi di Stato. Sicuramente nulla che possa essere assimilabile ad un progetto politico d'insurrezione armata.

Né in Italia (e neppure in altri paesi del mondo per la verità) hanno mai agito gruppi terroristici capitanati da qualche miliardario pazzo (stile Spectra) o manipoli di paramilitari eclettici che intendono ricattare il mondo sulla falsariga dei protagonisti di tantissimi movie americani.

Affinché nasca un gruppo terrorista con fini politici, nella vita reale e non nella pellicola occorrono alla base almeno due presupposti senza i quali è impossibile che questo avvenga.
Innanzitutto un progetto credibile attraverso il quale sia ipotizzabile un sovvertimento del regime per mezzo della lotta armata.
In secondo luogo un humus fertile nella società fatto d'insofferenza al potere costituito, disaggregazione sociale, disperazione e rabbia, indispensabile sia per il reclutamento sia perché il gruppo possa sperare di trovare un minimo di condivisione da parte dell'opinione pubblica.
Senza un progetto credibile che possa essere condiviso da una fetta della pubblica opinione non può esistere terrorismo politico in quanto verrebbero a mancare sia gli insorti, sia i proseliti sia il fine stesso dell'insurrezione.

Anche solo pensare che in Italia oggi ci siano questi presupposti mi sembra una chiara manifestazione di follia o cattiva fede con qualche finalità mistificatoria.
Il nostro paese è lontano anni luce dalla realtà degli anni 70 nella quale nacquero le Brigate Rosse ed ogni parallelismo con il tessuto sociale di quell'epoca mi sembra sinceramente improponibile.
Oggi chiunque asserisse di voler portare avanti un progetto d'insurrezione armata volto a sovvertire l'ordine costituito, anziché fare proseliti sarebbe immediatamente tradotto all'ospedale psichiatrico più vicino, per il semplice fatto che qualunque progetto del genere si rivela chiaramente inattuabile nella realtà contemporanea.
Lo dimostra chiaramente il fatto che a livello mondiale nell'ultimo ventennio non vi è traccia di rivoluzioni ingenerate dalla volontà popolare.

Da dove provengono allora i pacchi bomba che immancabilmente non esplodono mai e ci vengono quasi quotidianamente proposti in TV con belle riprese che ne evidenziano perfino gli inneschi e le batterie alcaline?
Quali rivoluzioni stanno progettando o compiendo le decine di arrestati ed indagati per reati terroristici?
Che senso hanno le bombe come quella di Genova nei pressi della stazione di polizia che esplodono senza fare vittime e vengono spacciate come parte di un progetto eversivo talmente fantomatico da rasentare l'assurdo?

Gli immigrati clandestini sbarcano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore. Alcune volte la trovano, altre no. Spesso costituiscono un retroterra ideale per i reclutamenti della microcriminalità.
Ma davvero dietro a ogni mussulmano si nasconde l'ectoplasma di un militante di Al Quaeda come l'informazione intende farci credere?
Davvero il nostro paese è impregnato di cellule del terrorismo islamico pronte a colpire? A colpire cosa e perché?
L'intifada palestinese e la resistenza irachena nascono figlie di due situazioni diverse ma assimilabili nella realtà di persone che non hanno nulla se non la propria disperazione. Uomini senza più una patria, un lavoro, una casa una famiglia, una dignità. Uomini per i quali spesso perfino la propria vita è svuotata di ogni valore intrinseco.
E' in questa realtà che si immolano con una bomba addosso nel tentativo di spegnere le vite di quelli che considerano i propri persecutori.

Non intendo qui giudicare se e quanto questo possa essere giusto o sbagliato, dal momento che ritengo lo possa fare solamente chi vive realmente una babilonia di morte quale sono oggi la Palestina e l'Iraq.
Mi preme invece sottolineare come i mussulmani che risiedono in Italia, clandestini e non si trovino in un contesto di tutt'altro genere. Per quale ragione dovrebbero essere pronti a dilaniarsi pur avendo tutto sommato una vita normale?
Si può rubare ed uccidere per soldi ma ci si immola in attentato suicida solo per disperazione e ai mussulmani che vivono accanto a noi non appartiene la disperazione, non certo quella disperazione che ti può far diventare kamikaze.

L'impressione globale è quella che sia interesse della confraternita che gestisce il potere presentare l'ologramma di un'Italia che non esiste, attraverso una sorta di caccia alle streghe di medioevale memoria.
Un'Italia nella quale diventi più facile eliminare le persone scomode, un'Italia nella quale ogni genere di repressione sia giustificata e giustificabile, un'Italia dove ogni mussulmano non sia da considerare un uomo ma semplicemente il tuo nemico.
Un paese che ha bisogno di ordine, di leggi più severe, di controllo, del pugno di ferro.
A pensarci bene è lo stesso concetto utilizzato dal racket per raccogliere il pizzo. Sfascio qualche negozio, innesco la paura e poi passo a riscuotere i soldi della protezione.Una vecchia pratica mafiosa purtroppo quanto mai attuale.

domenica 14 marzo 2004

Chiamata alle armi

Marco Cedolin

Continuo a rigirare nervosamente fra le mani i bordi stropicciati della cartolina precetto; è arrivata giovedì, verso mezzogiorno, quando il sole era alto sopra l'orizzonte.
Ha l'odore acre delle vite spente con violenza senza un perché, come mozziconi di sigaretta, ed è scritta con il sangue di troppe vittime innocenti perché la si possa leggere senza che brucino gli occhi.
Il potere ha sempre bisogno di un nemico per giustificare le proprie azioni, un nemico tangibile e da tutti riconosciuto, un nemico da combattere per il bene comune, un nemico che incuta terrore e spinga le masse a dimenticare le proprie idee per accalcarsi unite sotto ad una sola bandiera, che sarà quella del potere.

L'11 marzo di Madrid non è molto differente dall'11 settembre di New York, né lo sarà dall'11 maggio di Roma o dall'11 luglio di Tokio.
La logica, l'unica logica che si cela dietro a massacri di tali proporzioni, è quella di costruire un nemico, che abbia un volto agghiacciante, spietato, che entri nelle nostre case, nelle nostre coscienze, nelle nostre paure, che ci privi dei nostri valori, dei nostri punti fermi, delle nostre certezze, che risvegli in noi gli istinti peggiori e ci renda deboli, spaventati, influenzabili, pronti ad essere indirizzati laddove c'è necessità che noi si vada.
La scelta del “terrorismo” come grande satana del nostro secolo non è casuale, né poco ponderata ma risulta invece la via più semplice (se non l'unica) a disposizione dell'imperialismo per veicolare il proprio progetto di egemonia globale.
Non esistono in questo momento nel mondo nazioni così potenti da essere proposte con serietà quali antagoniste credibili dal punto di vista militare, inoltre uno stato sovrano ha una disposizione geografica ben delimitata e se mai scelto come nemico giustifica reazioni solo in quella specifica area del globo.

Il terrorismo è il nemico perfetto. Non essendo legato ad un luogo specifico alligna dappertutto e in nessun posto, sarà perciò possibile combatterlo ovunque senza che nessuno possa avere qualcosa da eccepire.
Non avendo eserciti fisicamente schierati si potrà attribuirgli la forza e pericolosità che si desidera in proporzione all'entità dell'azione (mascherata da reazione) che s'intende intraprendere.

Il terrorismo non ha amici, nazioni che parteggino per lui, persone che possano schierarsi al suo fianco. E' semplicemente l'incarnazione del male, per cui ogni qualvolta un massacro o un'invasione avverrà nel nome della lotta al terrorismo nessuno potrà argomentare condanne che abbiano una patente di credibilità.

Il terrorismo può colpire ovunque e questo risulta essere uno dei punti focali che ne fanno il nemico perfetto.
Se si trattasse di una nazione il pericolo verrebbe percepito come fortissimo dalle popolazioni confinanti ma scemerebbe man mano che aumenta la distanza dallo stato in questione.
La risultante sarebbe un appoggio convinto dei paesi vicini ed uno molto più scettico se non addirittura inesistente da chi percepirebbe lontana la minaccia.
Essendo l'incubo terrorista in grado di colpire dovunque ed in qualunque momento nessuno potrà essere padrone dell'illusione di sentirsi al sicuro, scettico o non allineato.

Se a quanto detto finora aggiungiamo il fatto che il terrorismo a differenza di un esercito reale può subire sconfitte ma mai definitive, sarà sempre possibile insomma dire che una parte dell'organizzazione è sopravvissuta e ha ingenerato nuove cellule e nuovi terroristi, in nuovi luoghi e nuovi tempi; ecco che anche l'ultimo tassello del mosaico si sistema al suo posto.
Il fenomeno terrorista è l'unico nemico veramente adatto a veicolare il progetto di guerra permanente tanto caro all'amministrazione Bush, ai firmatari del Progetto per un nuovo secolo americano, al boia Sharon e a tutti i loro fratelli che appoggiano il disegno imperialista nel mondo.

In questi giorni di dolore tutti, politici, economisti, scrittori, esperti, militari, operai, casalinghe, industriali, uomini e donne, stanno continuando a domandarsi chi sia stato e perché.
Alcuni lo fanno in buona fede, altri no. Sarà stata L'ETA? Saranno stati gli uomini di Bin Ladin? Sarà una vendetta degli arabi o piuttosto un tentativo di destabilizzare la situazione interna della Spagna?

Il perché di tanto orrore lo si può facilmente evincere dal senso dei titoloni che sono apparsi a caratteri cubitali sui nostri quotidiani, sulle nostre TV, nei salottini chic dell'informazione mediatica di regime.
“Attacco all'Europa” - “Il ground zero spagnolo” “Anche noi europei abbiamo il nostro 11 settembre” sono solo pochi ma esaustivi esempi.
Il perché di un simile massacro lo si percepisce nella carta ruvida della cartolina precetto che sto ancora tenendo fra le mani, triste metafora del violento schiaffo in faccia che a Madrid il potere ha voluto dare al pacifismo di un'Europa (quella dei popoli beninteso) che non ha mai perso occasione per osteggiare il progetto della guerra permanente.
Il perché trasuda dallo stanziamento di un miliardo di euro appena avallato dall'UE con lo scopo d'investire in armi, uomini e mezzi atti a preservarci dall'incubo terrorista, nonché a rimpinguare le casse dell'industria degli armamenti e di tutti i parassiti che vivono alle spalle della macchina bellica e repressiva.
E' un perché ancora appena tratteggiato ma avremo modo di poterlo apprezzare in maniera ben più profonda nel corso dei mesi a venire, parla di riarmo europeo, di guerra, di stati di polizia, di soppressione dei diritti, di libertà violate, discriminazione, amici e nemici, di morte.

martedì 2 marzo 2004

Va bene, va bene, va bene così

Marco Cedolin

Quanta quiete spalmata sopra gli ultimi giorni di questo inverno che sta finendo, fra inattese tempeste di neve e ondate di freddo siberiano.
Almeno lui, l'inverno denota una qualche propensione all'anarchia, un sottile gusto nel lasciarsi andare a quella fantasia che troppo spesso latita nella nostra società contemporanea, infarcita di regole, di obblighi e divieti, tanto che da quando esci di casa al mattino, fino a sera ti ritrovi a camminare sopra a dei binari precostruiti, essendo già stato scritto anticipatamente tutto ciò che potrai e non potrai fare.
La neve si, proprio il turbinare dei bianchi fiocchi dentro ai cieli ormai improntati alla primavera, credo sia stato l'unico accadimento che nelle ultime settimane ci ha portato ad alzare gli occhi pervasi di fanciullesca curiosità verso notiziari e quotidiani, altrimenti infarciti solo di retorica e noiosa mediocrità.

Seguendo l'onda lunga del crac Parmalat, tutti ma proprio tutti i mestieranti della politica si sono profusi nella strenua difesa dei risparmiatori, nel professarsi paladini degli stessi, nel condannare con sdegno ciò che era accaduto, quasi la politica fosse estranea ai grandi malaffari economici, quasi si trattasse di uomini che vivono in un limbo al di fuori dalla realtà, pronti ad uscire dall'alcova solo per sentenziare, condannare, promettere.
Quanta malinconia nella diatriba del Bossi, caricaturale archetipo dell'uomo del nord ed il vaticano, criticato quest'ultimo più per la familiarità con il dialetto romanesco piuttosto che non per seri e fondati motivi, e pensare che solo facendo un minimo sforzo, di questi se ne potrebbero facilmente trovare a iosa.
Quanta pena genuina nell'ascoltare l'accorata indignazione dei Rutelli, dei Fassino, dei Follini e del camerata pentito Fini Gianfranco, tutti lì, insieme a difendere l'8 per mille e l'amore del nostro mondo politico per la sacra romana chiesa. Quale contrasto fra il candido silenzio delle colline immerse nella neve e il tramestio delle voci concitate di quegli uomini del centrosinistra che hanno inteso spiegarci come fosse giusto marciare per la pace si ma…. ma in fin dei conti l'invio del contingente italiano in Iraq non era poi una scelta così scellerata, dal momento che si trattava di preservare la pace. Già la pace e gli interessi dell'imprenditoria italiana in loco, perché quando si tratta d'interessi commerciali anche le idee devono essere messe in secondo piano, che con quelle non si mangia cosa credete?

Quale stupore nel volgere lo sguardo posato sulle fronde degli alberi decorate dai ricami bianchi ed accorgerci che la riforma Moratti in verità non è quel mostro che noi pensavamo.
Anzi nelle parole degli eleganti portavoce del cavaliere ciò che pensavamo la riforma fosse era in verità l'esatto contrario di ciò che in realtà la riforma si propone di ottenere. Libertà, uguaglianza, fraternità e massima valorizzazione dell'individuo.
Probabilmente in preda ad un attacco di agrammatismo abbiamo letto male o male interpretato o più semplicemente si trattava di una delle solite congiure della sinistra eh già la sinistra.

Molte volte ci si lascia trasportare dal fanciulletto che è in noi e si rimane così, appiccicati col naso al gelido vetro della finestra, ad inseguire lo sfarfallio dei fiocchi che volteggiano leggeri, senza avere più cognizione del tempo e delle cose che ci stanno intorno.
L'Italia, ci spiegano coloro che più di noi sono avvezzi a leggere le cifre e su quelle cifre costruiscono parabole e da quelle cifre desumono tendenze e prospettive ostentando sicurezza ed ottimismo.
L'Italia ci dicono è un paese in salute, che ha reagito bene alla difficile congiuntura economica, che con qualche sforzo, qualche sacrificio ulteriore riuscirà perfino ad agganciarsi al treno della ripresa americana.

Com'è difficile distogliere lo sguardo dall'abbacinante biancore del giardino, dalla siepe che vediamo ogni mattina ma oggi sembra assurta a nuova vita con questo candido vestito gettato sulle spalle.
Eppure veniamo richiamati alla realtà da coloro che ci fanno notare come la disoccupazione sia scesa, il pil salito, i redditi anche, le tasse pure (ma in questo caso si tratta di un dato ininfluente che verrà corretto), l'azienda Italia sta insomma concretando notevoli segnali di ripresa ed è davvero un delitto la miopia di noi che non ce ne siamo accorti.

Allora torniamo a perderci nelle orme del gatto che la neve sta ricoprendo giù in cortile, dimentichi della carta di credito ormai spremuta fino all'ultima stilla, inconsapevoli del posto di lavoro che abbiamo perso qualche giorno fa. Non esistono rate del mutuo da pagare, né bollette, né aziende che chiudono, né stipendi che non bastano ad arrivare a fine mese.
Esiste solo la neve, così bianca, così candida, così magnetica ne suo trasformare ogni cosa, da farci pensare che sarebbe bello se i nostri occhi si perdessero dentro di lei, senza pensieri, senza il pensiero di pensare, senza realtà.

giovedì 19 febbraio 2004

Il giorno dello struzzo

Marco Cedolin

Non si sono ancora spenti gli ultimi echi della bella kermesse strappalacrime di "Uniti nell'Ulivo" che già il neonato cartello di centrosinistra torna a far parlare di sé e per la seconda volta in una settimana non ci si può esimere dal restare basiti dinanzi alla pessima maniera di fare opposizione che sembra appartenere a questo variegato gruppo di politicanti.
Se già imitare pedissequamente il modello americanberlusconiano delle convention plastificate, con immancabile sottofondo dell'inno di Mameli non si era certo rivelata una scelta felice, ciò che è accaduto ieri sembra essere, nel merito e nei modi un passo falso le cui conseguenze rischiano di stroncare sul nascere le velleitarie speranze di potere dei mestieranti consociati nel nome di Romano Prodi.
Il facile disimpegno alla Ponzio Pilato esternato al senato di fronte ad un argomento di scottante rilevanza quale il prolungamento dell'occupazione del suolo iracheno da parte dei nostri soldati è un segnale politico che travalica la semplice impressione di trovarci di fronte ad un gruppo di uomini senza il coraggio delle proprie idee, Uniti solamente nell'essere pavidi ed asserviti al volere dei grandi gruppi di potere. Si tratta di un vero e proprio schiaffo in faccia a tutti milioni di persone, di sinistra e non, che si sono fino ad oggi battuti per la pace, Uniti loro si, sotto un'unica bandiera ed un'unica idea e che per quell'idea si sono spesi, hanno urlato, sussurrato, marciato a più riprese.

Si tratta della palese dimostrazione di come la Casa delle libertà potrà continuare a governare (come peraltro ha fatto fino ad oggi) nell'assoluta mancanza di un'opposizione degna di tale nome, proseguendo nella sistematica demolizione dei principi costituzionali, potendo sempre contare nei momenti topici sulla complicità di coloro che per logica sarebbero chiamati a difenderli.

Il confidare sul fatto che gli italiani siano disposti a dare il proprio voto ad una formazione politica incapace di schierarsi e di costituire un'alternativa che non sia l'imitazione della politica del governo, mi sembra un'illusione in verità permeata di molto ottimismo.
Attraverso i silenzi assensi, le alzate di spalle, i disimpegni, non si costruisce nulla se non un vuoto teatrino dell'effimero fine a se stesso.

Di fronte ad azioni gravissime quali la riforma Biagi, quella delle pensioni, il contributo all'occupazione di uno stato sovrano, lo smantellamento della scuola e della sanità, il progressivo depauperamento del reddito degli italiani, occorrevano ed occorrono reazioni forti, decise, consapevoli.
Per fare opposizione però non basta essere Uniti, magari per affondare tutti insieme la testa nella sabbia come gli struzzi, occorre avere delle idee, il coraggio per portarle avanti e la costanza di perseguirle, tutte qualità che gli amici di Romano Prodi hanno già ampiamente dimostrato di non possedere, né ora né mai.

sabato 14 febbraio 2004

Uniti nell'Ulivo e su tutto il resto?

Marco Cedolin

L'Italia è un paese nel quale l'arte di scimmiottare il prossimo sta assurgendo al ruolo di una gestualità quasi sacrale, perpetrata con serietà ed indifferenza, quasi l'imitazione degli altrui modelli non costituisse una scelta bensì una necessità imprescindibile.
E' ancora vivo dentro i nostri occhi il ricordo della fulgida ed emozionante convention di Forza Italia al palazzo dei congressi dell'Eur, quella dei confetti tricolori e dell'inno di Mameli cantato a squarciagola per intenderci, che già una nuova festa, un nuovo baccanale autocelebrativo prende vita e si materializza, per ironia della sorte di nuovo a Roma e di nuovo all'Eur.
Cambiano gli attori insomma ma resta immutato il palcoscenico, la forma della rappresentazione, la scelta della coreografia, ovviamente tutti strumenti importati direttamente da quel modello di democrazia moderna e cosmopolita che sono gli Stati Uniti.

"Uniti nell'Ulivo" è il nuovo slogan, ricco di appeal e fascinosamente trend, coniato dai leader del centrosinistra dopo una diatriba infinita, per rappresentare la lista unitaria voluta da Romano Prodi.
Quale maniera migliore di tenere a battesimo un evento epocale di siffatta rilevanza, che organizzare una convention, di quelle che, si sa fanno tanto America, così pregne di suggestioni da arrivare a toccare davvero il cuore della gente.
Nell'atmosfera rarefatta e intellettualmente chic, fra i maxischermi troneggianti, veri caleidoscopi di colori, fra i 25 ragazzi dagli sguardi gai, chiamati a sventolare prepotentemente i vessilli dei paesi dell'UE, con sullo sfondo il Big Ben con le lancette bloccate sulla mezzanotte a simboleggiare questo evento epocale, sedevano, con la compostezza che solo i grandi uomini politici dimostrano di possedere, tutti i leader di quel centrosinistra che oggi più che mai ambisce a proporsi come unica reale alternativa allo strapotere di Silvio Berlusconi.

Lo sfuggente Piero Fassino, uomo veloce d'intelletto e dalle larghe vedute, l'enigmatico Francesco Rutelli, attento al culto dell'immagine e sublime oratore, il carismatico Massimo D'Alema, passato attraverso mille e più battaglie (giudiziarie e non) tutte combattute nel nome della sinistra, il raffinato stratega Enrico Borselli, figlio di un socialismo vaporizzatosi nelle persecuzioni giudiziarie.
Tutti presenti in questo giorno di festa dell'anima, in questo giorno di rinnovata speranza nel futuro, tutti a testimoniare che uniti si può vincere, ma uniti da cosa?
Non certo dalle idee che latitano e quando sembra di poterle intravedere somigliano troppo a quelle del clan di Berlusconi, non certo dai programmi, che in verità di questi non ve ne è ombra alcuna, non certo dal proprio passato politico, talmente variegato da abbracciare quasi tutto il vecchio arco costituzionale. Probabilmente uniti davvero solo nell'ulivo, inteso come forza con aspirazioni di governo, di potere, di redistribuzione delle poltrone che contano.

C'è ancora tempo per commuoversi alzando gli occhi verso il maxischermo, dinanzi all'immagine toccante del brindisi fra Ciampi e Romano Prodi, due naufraghi del pensiero democristiano, di quel pensiero oggi così vicino alla sinistra.
C'è ancora tempo per gioire della presenza di due giornalisti controcorrente come Gad Lerner e Michele Santoro, uomini che in ogni momento sono stati e staranno dalla parte del popolo, sempre che al primo non si vada a parlare male di Sharon e del secondo ci si scordi la lunga connivenza con quel personaggio non proprio adamantino che è Maurizio Costanzo.
C'è ancora tempo per lo show del redivivo Sergio Cofferati, l'eroico paladino dell'articolo 18, l'uomo che con il proprio disimpegno balneare ha deciso quello stesso articolo dovesse rimanere privilegio di pochi, perché si sa, il referendum per l'estensione dello stesso a tutti i lavoratori sarebbe stato un affronto troppo grande all'imprenditoria nostrana.

Si potrebbe ancora spendere qualche parola riguardo a quell'alfiere del pensiero di sinistra che è l'ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, accolto dall'ovazione della platea nel suo profondersi in una commovente orazione in difesa della magistratura.

Ma quanta tristezza dentro a queste convention, vuoti teatrini dell'effimero, manifestazioni che neppure nel nome appartengono alla nostra cultura.
Quanta tristezza in questa politica infarcita di maxischermi, di bandierine, di vessilli, di slogan ma depauperata da qualunque cosa che somigli a un'idea o a un programma.Quanta tristezza nell'osservare questo governo e questa opposizione così squallidi e al tempo stesso così simili nel loro squallore, al punto da dividersi a turno le convention e i palazzetti dell'Eur.

giovedì 29 gennaio 2004

No quattrini no party

Marco Cedolin

Che atmosfera meravigliosa stamattina a Roma al palazzo dei congressi dell’Eur, in un tripudio di tricolori che garriscono al vento dei ventilatori. Silvio Berlusconi, dall’alto della sua statura fisica e morale ha preso la parola o sarebbe più corretto dire il verbo, dinanzi ad una folla di 6000 suoi dipendenti festanti e pervasi da quella gioia dell’animo che quando pura trascende qualsiasi realtà.
Che bello vedere quest’uomo, questa sorta di highlander per il quale il tempo che tormenta noi mortali sembra invece correre all’incontrario, emozionarsi nel cantare quella canzonetta di dubbio gusto che di nome fa inno di Mameli. Che belli i maxischermi, manifestazione dell’avanguardistica tecnologia che ci appartiene, sparsi un pochino ovunque, senza lesinare, perché il risparmio si sa è caratteristica delle menti piccole e dei pessimisti. Che belli i confetti tricolori nei sacchetti azzurri, il video sui 10 anni gloriosi di Forza Italia, le lacrime struggenti del condottiero emozionato per la gratitudine spontanea dei suoi sottoposti.
Che bello l’angolino della cultura a documentare la rivoluzione epocale costituita da questo partito che ha avuto il merito di portare a termine ciò che la democrazia cristiana ha tentato di fare per quasi 50 non riuscendovi mai completamente.
Che belli “discorsi per la democrazia” e “L’Italia che ho in mente”, i due libri che portano la firma autografa del presidente del consiglio, i due libri che dimostrano come anche “l’inclita” tanto caro a Riotta possa assurgere al ruolo di scrittore di fama mondiale, qualora si dimostri imprenditore ricco di verve, umorismo e padronanza della lingua di Dante senza paragoni. Che belle le copie in vendita della costituzione italiana, articoli per l’imprenditoria del collezionismo, in quanto si sussurra qui nel salone che appena smantellata completamente saranno destinate a valere una fortuna.

Si racconta che la sala fosse già gremita da ore, tutti conoscono l’idiosincrasia del cavaliere per i dipendenti ritardatari, ai quali oltre al disappunto del proprio padrone è destinato un altro megaschermo posto fuori dal palazzo, perché in fin dei conti il premier è un uomo buono e nonostante la riprovazione mai li priverebbe della gioia di una festa così spontanea e coinvolgente. Ma l’essere imprenditore, di se stesso, degli altri, dei figli della moglie, dei parenti, degli animali di casa è una caratteristica che il forzitaliota mantiene suggellata dentro il proprio dna ed ecco così fiorire banchetti con in vendita bandiere azzurre e portacellulari con la dicitura “festa azzurra”, un po’ come rivivere Paolo Rossi ed i mondiali dell’82, con la differenza che qui si è vinta solo un’overdose di miseria e la partecipazione ad uno stato di polizia, ma poco importa. Com’è bello cantare in coro, quasi si fosse allo stadio o in piazza Venezia tanti anni fa.
E il lungo discorso? L’infinita filippica da consumato oratore? L’incredibile sequela di successi rivoluzionari che hanno cambiato la storia? Le parole di Gianni Baget Bozzo usate dal premier per scagliare una volta di più pietre cariche di vergogna contro la magistratura, nascondendo poi subito la mano?

Mi sembra superfluo parlarne, i dipendenti, quelli che per inderogabili impegni di lavoro sono stati costretti a rimanere a casa, hanno già provveduto a mandare in onda lunghi spezzoni quanto mai esaustivi del soliloquio farneticante attraverso i telegiornali Rai e Mediaset e poi, come si suol dire verba volant, è solo la miseria nella quale ci dibattiamo a rimanerci sempre odiosamente attaccata alla pelle.