giovedì 29 gennaio 2004

No quattrini no party

Marco Cedolin

Che atmosfera meravigliosa stamattina a Roma al palazzo dei congressi dell’Eur, in un tripudio di tricolori che garriscono al vento dei ventilatori. Silvio Berlusconi, dall’alto della sua statura fisica e morale ha preso la parola o sarebbe più corretto dire il verbo, dinanzi ad una folla di 6000 suoi dipendenti festanti e pervasi da quella gioia dell’animo che quando pura trascende qualsiasi realtà.
Che bello vedere quest’uomo, questa sorta di highlander per il quale il tempo che tormenta noi mortali sembra invece correre all’incontrario, emozionarsi nel cantare quella canzonetta di dubbio gusto che di nome fa inno di Mameli. Che belli i maxischermi, manifestazione dell’avanguardistica tecnologia che ci appartiene, sparsi un pochino ovunque, senza lesinare, perché il risparmio si sa è caratteristica delle menti piccole e dei pessimisti. Che belli i confetti tricolori nei sacchetti azzurri, il video sui 10 anni gloriosi di Forza Italia, le lacrime struggenti del condottiero emozionato per la gratitudine spontanea dei suoi sottoposti.
Che bello l’angolino della cultura a documentare la rivoluzione epocale costituita da questo partito che ha avuto il merito di portare a termine ciò che la democrazia cristiana ha tentato di fare per quasi 50 non riuscendovi mai completamente.
Che belli “discorsi per la democrazia” e “L’Italia che ho in mente”, i due libri che portano la firma autografa del presidente del consiglio, i due libri che dimostrano come anche “l’inclita” tanto caro a Riotta possa assurgere al ruolo di scrittore di fama mondiale, qualora si dimostri imprenditore ricco di verve, umorismo e padronanza della lingua di Dante senza paragoni. Che belle le copie in vendita della costituzione italiana, articoli per l’imprenditoria del collezionismo, in quanto si sussurra qui nel salone che appena smantellata completamente saranno destinate a valere una fortuna.

Si racconta che la sala fosse già gremita da ore, tutti conoscono l’idiosincrasia del cavaliere per i dipendenti ritardatari, ai quali oltre al disappunto del proprio padrone è destinato un altro megaschermo posto fuori dal palazzo, perché in fin dei conti il premier è un uomo buono e nonostante la riprovazione mai li priverebbe della gioia di una festa così spontanea e coinvolgente. Ma l’essere imprenditore, di se stesso, degli altri, dei figli della moglie, dei parenti, degli animali di casa è una caratteristica che il forzitaliota mantiene suggellata dentro il proprio dna ed ecco così fiorire banchetti con in vendita bandiere azzurre e portacellulari con la dicitura “festa azzurra”, un po’ come rivivere Paolo Rossi ed i mondiali dell’82, con la differenza che qui si è vinta solo un’overdose di miseria e la partecipazione ad uno stato di polizia, ma poco importa. Com’è bello cantare in coro, quasi si fosse allo stadio o in piazza Venezia tanti anni fa.
E il lungo discorso? L’infinita filippica da consumato oratore? L’incredibile sequela di successi rivoluzionari che hanno cambiato la storia? Le parole di Gianni Baget Bozzo usate dal premier per scagliare una volta di più pietre cariche di vergogna contro la magistratura, nascondendo poi subito la mano?

Mi sembra superfluo parlarne, i dipendenti, quelli che per inderogabili impegni di lavoro sono stati costretti a rimanere a casa, hanno già provveduto a mandare in onda lunghi spezzoni quanto mai esaustivi del soliloquio farneticante attraverso i telegiornali Rai e Mediaset e poi, come si suol dire verba volant, è solo la miseria nella quale ci dibattiamo a rimanerci sempre odiosamente attaccata alla pelle.

sabato 17 gennaio 2004

Disastro Moratti

Marco Cedolin

Raramente nella storia del nostro paese ci si è trovati di fronte a un tale condensato d'incapacità manifesta, servilismo nei confronti del mondo industriale e dell'interesse privato, approssimazione e pressappochismo, quale quello proposto dai vaneggianti dettami della riforma Moratti.
Una riforma che se posta in atto otterrà il devastante risultato di sfasciare definitivamente il mondo dell'istruzione pubblica, essendo essa stata concepita senza tenere in minima considerazione lo scopo precipuo che la scuola ha rivestito fin dai tempi antichi in ogni società e cioè l'insegnamento, la cultura e la formazione caratteriale delle nuove generazioni.
La trasformazione delle scuole pubbliche in “aziende” e dei presidi in “manager” ci ha già posti in questi ultimi anni di fronte al paradosso d'istituti pubblici costretti a fare pubblicità come fossero fabbrichette in una sorta di lotta vergognosa per contendersi l'iscrizione degli allievi.
La situazione degli insegnanti precari già fino ad oggi parossistica viene acuita nella propria drammaticità da un sistema cervellotico di punteggi che nel nome di una falsa meritocrazia impone la dottrina della competizione selvaggia passando attraverso la giungla dei corsi d'aggiornamento e i sacrifici inenarrabili di chi aspirando all'insegnamento si ritrova sballottato a destra e a manca senza una prospettiva.

Ma è tutto lo spirito che permea la riforma a lasciare allibiti per il sovvertimento del valore basilare di eguaglianza nel diritto all'istruzione, valore dal quale nessun paese civile può permettersi di prescindere senza snaturare le proprie caratteristiche di civiltà.
Il taglio degli organici e la soppressione del “tempo pieno” che già in questi giorni hanno prodotto proteste e fermento sono un chiaro esempio della miopia con la quale è stato approcciato l'argomento.
In una società forzatamente ipercinetica come la nostra, nella quale i genitori sono costretti a lavorare come forsennati per cercare di mantenere in piedi economicamente la famiglia (dall'introduzione dell'euro in poi in verità con poche speranze di riuscirci) si prospetta l'abominio di eliminare il tempo pieno, con le devastanti conseguenze che facilmente si possono immaginare.

Già dalla scuola elementare vengono legalizzate le disuguaglianze di trattamento fra bambini poveri e ricchi, più intelligenti o meno, tutto ciò naturalmente ad insindacabile giudizio del “tutor”, una sorta di mutazione genetica del vecchio maestro, con il compito d'indirizzare il futuro della risorsa umana in erba a seconda delle proprie possibilità economiche e cognitive.
Non ultima inoltre fra le aberrazioni di nuova introduzione la possibilità di destinare all'insegnamento elementi privati qualora l'organico non si riveli sufficiente, aprendo così la porta ad una commistione fra pubblico e privato che mai avrebbe avuto ragione di essere.

Passando poi alle scuole superiori il disastro si evidenzia in tutta la sua imponenza ed emerge la sudditanza verso la grande imprenditoria e il patetico tentativo di scimmiottare il sistema d'istruzione americano, uno dei peggiori al mondo per qualità, ne è la riprova il bassissimo livello culturale dello statunitense medio.
Il concetto secondo il quale se ad un giovane dai una buona cultura di base e un'istruzione appropriata egli saprà poi districarsi agevolmente nel mondo del lavoro avendo a disposizione ottimi strumenti per farlo, viene completamente capovolto.
Si sceglie di perseguire non l'accrescimento culturale dell'individuo, bensì le competenze tecniche della risorsa umana, con la risultante di un giovane ignorante ma già adatto da subito ad operare in un campo lavorativo specifico.
Questa strada ovviamente garantirà alla grande imprenditoria una forza lavoro competente senza necessità di lungo tirocinio ma si rivelerà notevolmente lesiva per il futuro dei giovani che si ritroveranno privati di contenuti indispensabili e come contropartita la capacità di svolgere un lavoro specifico al di fuori del quale non avranno strumenti per trovare alternative.

In conclusione nulla avviene per caso nei programmi di questo governo asservito al capitale, il cui scopo palese è quello di creare un mondo del lavoro con manodopera a basso costo e lavoratori che si lascino vessare in silenzio, schiavi della loro stessa precarietà.La riforma Moratti si muove di concerto con la riforma Biagi, su una linea comune che prevede la formazione dell'imprenditoria del domani in un sistema scolastico elitario a pagamento e la manodopera da crescere invece in una scuola in via di smantellamento sempre più simile ad una sorta di officina per poveri.

giovedì 8 gennaio 2004

Arruolati anche tu!

Marco Cedolin

Lo spirito indomito dell'ideologia rivoluzionaria hai ormai travalicato ogni genere di divisione, particolarismo o appartenenza politica.
Il terrore del nuovo millennio non ha più sigle o bandiere, le brigate rosse, prima linea, i nap o i nar sono solo anacronistici retaggi del passato, legati a quegli anni di piombo nei quali lottare contro il sistema significava gambizzare un dirigente d'industria, ammazzare un ministro per educarne 100 o far fuori la pattuglia di carabinieri che ti fermava al posto di blocco.

L'eversione oggi sta tornando di moda ma per rimanere al passo coi tempi ha dovuto cucirsi addosso una nuova pelle che la rendesse più “trend” e in grado di esercitare sulle giovani generazioni un ritrovato “appeal”, come scriverebbero nel loro vernacolo italoamericano i deficienti che impiastricciano i quotidiani di casa nostra fingendosi giornalisti eruditi.
La democrazia Cristiana, il grande nemico di un tempo non esiste più, o meglio nella diaspora fra asinelli, alleanze, cori da stadio e fiori di campo, oggi si chiama Forza Italia, Margherita, Alleanza Nazionale (l'ala sionista) Democratici di sinistra e Lega Nord, oltre ovviamente a quei pochi sprovveduti che rifiutandosi di cambiare nome hanno finito per sostituire percentualmente il partito repubblicano ai tempi degli anni di piombo.

Arruolare un terrorista oggi è cosa assai più semplice e meno onerosa rispetto al passato. Innanzitutto i disoccupati, quelli veri non affiliati ai clan della camorra, (a dispetto delle statistiche che da un po' di anni vengono per errore fatte su marte) sono molti di più rispetto a una trentina di anni fa e le possibilità che trovino un lavoro risultano praticamente ridotte a zero.
In secondo luogo, come faceva oggi rilevare nell'audizione alla camera quel dotto osservatore dell'animo umano che è il ministro Pisanu, sembra si stia creando una sorta di “Pedemontana eversiva” (sono le sue parole per cui non chiedetemi il significato ma improvvisate voi) che si muove, probabilmente per un non meglio precisato effetto Maometto, nell'intento di legare fra loro le diverse anime del terrorismo rupestre, a dispetto delle differenze ideologiche e dei diversi retaggi socio culturali preesistenti.

Tutto ciò elimina la noiosa perdita di tempo che consisteva nel dover dividere l'aspirante terrorista di sinistra da quello di destra, l'anarchico dall'autonomo e così via. Oggi basta tu sia italiano, antimperialista, con una buona conoscenza dei computer palmari ed il gioco è fatto.
Ma la ragione che più di ogni altra rende oggi facile fare proseliti consta nella sicurezza di poter offrire un lavoro semplice e sicuro.
Niente più omicidi di politici illustri, al massimo qualche sindacalista o economista sconosciuto che per ignote ragioni risulti scomodo al palazzo, niente più capitalisti da gambizzare, generali americani da rapire, banche da svaligiare per autofinanziarsi, niente più sangue, kalashnikov, covi angusti dentro ai seminterrati, conflitti a fuoco con la polizia.

Quando sarai terrorista potrai continuare a fare la tua vita di sempre, gustarti un dvd di stallone sul tuo nuovo home tehatre mentre sorseggi un martini, portare a fare shopping la mogliettina e i tuoi figlioletti, fare una settimana di vacanza (perché si sa due stancano) in qualche isola calda calda e comprarti la macchina nuova di quelle da 0 a 100 in 5” la qual cosa fa tanto snob ora che la patente è a punti.
Il lavoro lo puoi fare tranquillamente seduto alla scrivania dello studio, qualche pacco bomba….beh bomba non esageriamo che magari poi mi fraintendi e combini qualche casino. Quando dico bomba non intendo ingegneristiche opere tipo unabomber, ma qualcosa di semplice semplice e soprattutto inoffensivo, qualcosa insomma che ogni cristiano normodotato è in grado di fare, un pochetto di polvere pirica, un innesco ed il gioco è fatto, in fin dei conti l'importante è che non si faccia male nessuno.
Toccherà poi scrivere anche qualche rivendicazione e anche in questo caso senza scomodarti dalla scrivania dello studio, per il testo non occorre tu ti sia fatto una cultura leggendo il foglio di Giuliano Ferrara, ti basterà copiare quei volantini degli anni 70 che ti abbiamo dato insieme al computer palmare, sono perfetti e non necessita che tu aggiunga neppure una virgola.

Lo so, lo so a questo punto ti senti oltremodo tentato nel mettere la tua firma in calce a questo contratto ma ancora non si è parlato del trattamento economico ed è il denaro che in fondo in fondo fa girare tutto a questo mondo.
Sarò sincero, non posso prometterti una cifra esatta e garantita, i governi cambiano ed ogni anno occorre attendere il varo della nuova finanziaria, però tutto sommato tieni conto che si tratta di un impiego statale sicuro e ben remunerato, con tutta la gente che per 106 euro al mese di aumento salariale la digos è costretta ad affrontarla veramente e rischia pure di farsi male, al posto tuo non avrei poi molte esitazioni.

Desiderando arruolarmi firmo in calce questa domanda ...........................