sabato 22 ottobre 2005

Poco rock niente politik

Marco Cedolin

L’evento televisivo era stato preparato da tempo, curando con precisione certosina tutti i particolari che ne consentissero un facile successo sia in termini di ascolto (di share, come amano definirlo i tele acculturati doc) sia in termini di risonanza mediatica.
La scelta di Adriano Celentano, l’unico uomo in grado di scalare i dati Auditel con il solo ausilio dei propri silenzi, come conduttore del programma non avrebbe potuto essere più azzeccata.
Così come intrigante risultava il nome della trasmissione, quel “RockPolitik” che nell’immaginario collettivo prometteva di fondere i ritmi forsennati della musica con l’andamento lento tipico del mondo politico.
Ad aumentare l’aspettativa, già creata con notevole dispendio di energia dall’ampio spazio dedicato al futuro evento da giornali e TV, si aggiungeva l’annuncio del ritorno sul piccolo schermo di quel Michele Santoro che veste ormai da tempo l’abito dell’epurato numero uno della televisione pubblica.

Lo spettacolo condotto dal molleggiato è invece riuscito a disattendere qualsiasi tipo di aspettativa una persona si fosse creata nella propria mente.
Celentano ha portato avanti per un paio d’ore una sorta di commistione fra i tipici varietà musicali del sabato sera ed una fantomatica riconquista della libertà d’informazione, il tutto condito da una ridda esagerata di luoghi comuni, facile demagogia e retorica, non dimenticando di strizzare l’occhio alla chiesa cattolica.
L’ascoltatore, che veniva invitato da una scritta in sovrimpressione all’inizio del programma ad ascoltare lo stesso a tutto volume, si è reso conto ben presto suo malgrado che l’unica vera protagonista del palcoscenico rischiava di essere la noia.
La trasmissione si è trascinata sonnolenta fra canzonette, monologhi stucchevoli, statistiche riguardanti la libertà d’espressione ormai note da tempo spacciate come rivelazioni ed i consueti silenzi carichi di filosofica riflessione.
Celentano ha speso alcune parole criticando la presenza degli ecomostri che deturpano la bellezza del paesaggio italiano, ma non ha fatto menzione del disastro economico che deturpa in maniera ben peggiore la vita di tanti italiani.
Ha attaccato gli immobiliaristi che la trasmissione Report aveva già denunciato, oltretutto fornendo in merito ampie documentazioni, quasi una settimana fa.
All’acme del proprio sdegno nei confronti del sistema ci ha reso partecipi dell’incredibile rivelazione secondo la quale “tutti hanno paura delle parole ed oggi si possono dire solo cose che non danno fastidio a nessuno.”
L’entrata in scena di Michele Santoro, evento epico che in ossequio alla fantasia del molleggiato sarebbe valso a riportare l’Italia al primo posto nella classifica della libertà d’espressione (quasi Santoro anziché deputato al parlamento europeo fosse rimasto fino ad oggi rinchiuso in qualche carcere di massima sicurezza) non ha aggiunto assolutamente pepe né ritmo alla trasmissione.
L’indimenticato protagonista di Sciuscià si è prodotto anch’egli in un breve soliloquio ma non è riuscito ad esperire altro che poche parole intrise di buoni sentimenti e nulla più.
“Viva la fratellanza, viva l’eguaglianza, viva la cultura, viva la libertà.”
Impossibile ovviamente non condividere queste parole, ma forse il telespettatore aveva l’ambizione che qualcuno provasse a spiegargli per quale arcana ragione tali nobili parole continuano a restare un mero esercizio sillabico anziché tradursi in realtà.

Il sistema, dopo avere dato prova attraverso il controllo sistematico dei media, di riuscire a plasmare il mondo reale a proprio uso e consumo, sta diventando sempre più bravo anche nell’artificio di creare falsa contro informazione pilotata che dimostri la presenza di quella libertà di pensiero che si è invece ormai persa da tempo.L’ordalia d’indignazione ed esternazioni critiche che tutto il centro destra non ha mancato fin da subito d’indirizzare nei confronti di Celentano e della trasmissione sono solo irrinunciabili elementi di coreografia che alimentano l’illusione di libertà.

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