lunedì 19 giugno 2006

La serietà al governo

Marco Cedolin

Gli slogan elettorali, studiati attentamente a tavolino dagli esperti di comunicazione, qualche volta colgono nel segno riuscendo ad interpretare ciò che la gente desidera o pensa di desiderare o più semplicemente è stata indotta a desiderare.
In effetti dopo 5 anni di governo Berlusconi, vissuti all’insegna della rappresentazione clownesca, della boutade, dell’istrionismo autoreferenziale, della finanza creativa, del milione di posti di lavoro che neppure gli appassionati di ufo hanno mai visto, dei rilevamenti ISTAT simili a specchi deformanti, di serietà in ambito governativo se ne percepiva davvero un gran bisogno. Il grande dubbio che dopo appena un mese dall’insediamento del nuovo esecutivo targato Romano Prodi, attanaglia gran parte dei cittadini che in quello slogan si sono riconosciuti è la sensazione che il nuovo che avanza abbia esaurito ogni stilla di serietà nel dipingere i manifesti elettorali e si proponga in realtà nella dimessa veste di una minestra riscaldata i cui ingredienti oltretutto fanno a pugni gli uni con gli altri.

Durante oltre un anno di campagna elettorale (prima per le elezioni amministrative, poi per le politiche) tutto il centrosinistra ha basato il proprio programma su tematiche quanto mai serie, quali la famiglia, il lavoro, la politica estera. Il dilagare del precariato e l’assurto quanto mai realistico in virtù del quale le famiglie italiane non riuscivano più ad arrivare alla fine del mese, sono stati insieme alla necessità di ritirare i soldati dall’Iraq i veri punti cardine intorno ai quali la disomogenea compagine che faceva capo a Romano Prodi ha costruito il proprio consenso e la propria sia pur risicata vittoria.
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, non ci è ancora stato dato modo di scorgere neppure i prodromi di un pur timido albore.Queste prime settimane all’insegna del nuovo governo sono state una continua sequela di delusioni, contraddizioni e nonsense al limite dell’autolesionismo. Prima la battaglia delle poltrone, condotta da ministri ed aspiranti tali in stato di trance da combattimento e risolta solo attraverso la bonomia del professore che ha deciso di moltiplicare all’uopo le cariche ministeriali ed i relativi stipendi.
Poi il ritiro dei nostri soldati dalla terra d’Iraq che per qualche arcana ragione non poteva avvenire in maniera semplice e sbrigativa seguendo l’esempio di Zapatero. Prodi ha deciso di concertare il ritiro con tutti coloro che non avevano voce in capitolo per entrare nel merito di una questione unicamente italiana, con il governo americano, con quello inglese e perfino con quello iracheno, sulla cui esistenza al di fuori dell’immaginario collettivo è lecito nutrire forti dubbi.

Risultato di tutta questa complessa operazione volta a non scontentare nessuno è che le truppe italiane verranno ritirate in tempo per i botti di Capodanno, entro la stessa data in merito alla quale Berlusconi aveva concertato la cosa un anno fa con "l’amico" Bush.
Poi la scoperta (si potrà mai scoprire qualcosa di conclamato da tempo immemorabile?) del disastroso stato in cui versano i conti pubblici italiani.Il ministro delle Finanze Padoa Schioppa, dopo avere definito la situazione molto più grave del previsto ha prima ventilato e poi smentito almeno una decina di volte l’ipotesi di una manovra correttiva, fino ad arrivare a definirla indispensabile e quantificarla in circa 10 miliardi di euro. Secondo le parole del Ministro tale corposa manovra, legata indissolubilmente ad un preciso piano di rientro del deficit in merito al quale egli si è impegnato in chiave europea, non svuoterà ulteriormente le tasche degli italiani, ma pensare che lo Stato possa recuperare una cifra di queste dimensioni unicamente attraverso tagli degli sprechi e lotta all’evasione fiscale sarebbe esercizio di pura follia.
Ha cantato nel coro anche il Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro che ha lamentato la necessità di almeno 4 o 5 miliardi di euro indispensabili per tenere aperti per i prossimi 6 mesi i cantieri delle grandi e piccole opere ed inaugurare quelli ritenuti (a torto o a ragione) indispensabili. Anche in questo caso l’unica prospettiva è il salasso delle tasche degli italiani, probabilmente attraverso addizionali che colpiranno gli automobilisti.

Come se non bastasse, per evitare di scontentare Montezemolo, Prodi dovrà procedere in tempi brevi al taglio del cuneo fiscale, partito come misura volta a favorire le imprese e i lavoratori ma ormai trasmutato come manovra volta unicamente a sovvenzionare il mondo imprenditoriale alla ricerca della competitività perduta. Anche in questo caso si parla di una cifra nell’ordine dei 10 miliardi di euro che sicuramente non potranno materializzarsi dal nulla.Come corollario di questi primi incerti passi compiuti dal governo, una moltitudine di esternazioni compiute da ministri e uomini politici, disarmoniche e spesso in contraddizione l’uno con l’altro, a confermare quanto sia difficile fare coesistere in uno stesso esecutivo forze ideologicamente e tradizionalmente così distanti fra loro da potere rappresentare l’intero arco costituzionale di un qualunque paese europeo.

Ma in tutto questo balletto di cifre volto a rinsaldare i conti pubblici, a rassicurare l’Europa, a mantenere in essere i progetti delle grandi opere, a sovvenzionare la consorteria di confindustria, che fine hanno fatto le famiglie che non riuscivano più ad arrivare alla fine del mese?Prima di tutte queste macro realtà dai nomi altisonanti ogni cittadino non è forse costretto a fare i conti con il proprio bilancio, dal momento che se non paga l’affitto lo cacciano in mezzo ad una strada e se non paga le bollette resta al buio senza nemmeno un fornello per preparare il desco? E’ davvero realistico immaginare che la famiglia media italiana già oggi in forte sofferenza possa immolare ulteriori risorse sull’altare del debito pubblico e della competitività industriale, senza scendere sotto quella soglia di povertà alla quale è ormai davvero molto vicina?L’unica serietà purtroppo non alligna nel governo ma negli animi delle molte, troppe persone che continuano a stare sempre peggio e si ritrovano in attesa di ulteriori ennesime stangate che le porteranno sempre più in basso. E l’espressione del viso rischia di farsi ancora più seria di fronte alla consapevolezza che non esistono alternative credibili a questo stato di cose, quando si volge lo sguardo di lato a scorgere Silvio Berlusconi diventa pura utopia anche l’ultimo anelito di speranza.

martedì 6 giugno 2006

A Nassirija si continua a morire entro i tempi tecnici

Marco Cedolin

Mentre il neonato governo italiano capitanato da Romano Prodi stava concludendo il proprio conclave nella serenità dell’Umbria, alla ricerca dell’unità perduta, o se preferite mai trovata, in Iraq a un centinaio di chilometri da Nassirija il caporalmaggiore Alessandro Pibiri perdeva la vita nell’esplosione del mezzo blindato sul quale viaggiava insieme a quattro commilitoni che sono rimasti feriti nell’incidente.I soldati italiani stavano scortando un convoglio logistico britannico quando un ordigno telecomandato ha fatto saltare in aria il loro automezzo. Salgono così a 38 i “caduti di guerra” vittime di una missione di pace che se fin dall’inizio ha avuto ben poche ragioni di esistere, oggi non ne possiede veramente più nessuna.Ogni giorno che passa si palesa maggiormente l’assoluta mancanza di motivazioni che sostengano la necessità di mantenere in terra irachena un contingente militare ormai impaludato nelle sabbie mobili di un’occupazione armata priva di senso e di prospettive.

Romano Prodi, esempio inarrivabile di mediazione e diplomazia, sembra in verità l’unico italiano a non essersi ancora accorto ...... (perfino Cossiga ne ha ormai preso coscienza) dell’assoluta necessità di ritirare immediatamente le truppe da un teatro di guerra nel quale si è intesa esportare la democrazia, creando invece i presupposti per una guerra civile senza quartiere alla quale fanno da corollario i massacri e le carneficine messe in atto con sottile sadismo dai soldati occupanti.Quello iracheno è ormai un tunnel senza uscita, vera cartina di tornasole di una malaugurata operazione militare che sta trasmutando in un fallimento totale.Il vero problema che il governo del professore si trova ad affrontare riguarda quei “tempi tecnici” che facevano bella mostra di sé all’interno del programma dell’Unione ed erano deputati a fare convergere tutte le diverse posizioni su un progetto di ritiro del contingente italiano differito nel tempo in maniera così elastica da non scontentare nessuno.

Gli elettori appartenenti alla sinistra più radicale potevano immaginare che i “tempi tecnici” fossero quei pochi giorni che erano stati necessari a Zapatero per richiamare i soldati in terra di Spagna. Gli elettori ulivisti immaginavano “tempi tecnici” un poco più allargati, magari di quei mesi necessari a concordare la cosa in funzione delle esigenze degli alleati inglesi e statunitensi. Gli elettori democristiani e neocon della Rosa nel pugno interpretavano i “tempi tecnici” come attesa del momento nel quale (forse fra un paio d’anni) tutte le truppe d’occupazione avrebbero abbandonato il suolo iracheno.Ma adesso che i “tempi tecnici” tanto utili per raggranellare voti all’interno di un elettorato eterogeneo hanno mietuto la loro prima vittima, nella persona di Alessandro Pibiri, anche Romano Prodi si vedrà costretto ad uscire da quell’inanità che finora è sembrata essere l’unico elemento di condivisione all’interno di questo governo.

La speranza è che il professore fra le tante mediazioni scelga quella giusta, poiché la già ventilata ipotesi di un ritiro della missione Antica Babilonia con la prospettiva di sostituirla con una nuova missione “civile” supportata da 600 soldati in armi significherebbe solo sprofondare ancora un poco di più nelle sabbie mobili della “nuova babilonia” che abbiamo contribuito a creare in terra d’Iraq e questa volta senza lasciarci neppure una via d’uscita.