venerdì 28 luglio 2006

Caos permanente

Marco Cedolin

Se la maggior parte degli argomenti sul tappeto non fossero pregni di drammatica serietà ci sarebbe quasi da sorridere nell’osservare la babele ormai fuori controllo, costituita dal canicolato serraglio della politica italiana.
Partiti, correnti, tradizioni consolidate nel tempo, alleanze di governo e di opposizione hanno ormai esondato dal proprio corso logico per confluire in una miscellanea la cui natura instabile la priva di ogni identità.
Silvio Berlusconi, il Cagliostro che per 5 anni ha illuso metà degli italiani promettendo “l’America” e contemporaneamente istigato l’altra metà a dare sfoggio dei propri istinti più bassi, sembra diventato un vecchio generale che ordina la carica senza avvedersi che le sue truppe hanno ormai da tempo sciolto le fila. Il centrodestra è evaporato come neve al sole di fronte alla manifesta impossibilità di fare opposizione contro le sue stesse idee.
Provate ad immaginare l’atteggiamento di Bertinotti o Diliberto se nella scorsa legislazione si fossero trovati di fronte il Cavaliere che proponeva il ripristino della scala mobile, l’estensione dell’articolo 18 e il disimpegno dei militari italiani dalle missioni all’estero.

Proprio Bertinotti dall’alto della sua carica istituzionale è fra le figure che destano più sorpresa, nel sentirlo propugnare la necessità della missione in Afghanistan e le ragioni dell’indulto si resta per un attimo basiti ma a condurci all’acme della sorpresa è il suo silenzio carico di parole riguardo alla sorte del popolo libanese e di coloro che abitano la terra di Palestina.
Di fronte al massacro del popolo libanese da parte dell’Imperatore Olmert, un uomo che è riuscito nel compito praticamente impossibile di far rimpiangere il vecchio Sharon, le parole del governo di centrosinistra sono suonate stonate quasi quanto quelle dell’opposizione. Perfino il Papa è riuscito ad andare molto oltre, affermando il diritto inalienabile del popolo libanese e di quello palestinese ad avere una propria patria libera da ingerenze esterne. A differenza di Romano Prodi che senza spendere una sola parola per le vittime del massacro si è limitato a giudicare sproporzionata la risposta israeliana, ritenendo forse che qualche carneficina in meno e un numero inferiore di profughi sarebbero stati invece una risposta congrua.

Il rifinanziamento della missione in Afghanistan, sospesa nel limbo fra guerra e pace, però in grado di produrre una trentina di morti ammazzati (presunti talebani) al giorno, trova contraria una grande parte della sinistra, da sempre pacifista. Questa contrarietà però si fermerà alla soglia del parlamento in quanto costoro voteranno a favore del rifinanziamento (contro i valori che gli sono propri da sempre) per evitare che il governo rischi di cadere. Viene spontaneo domandarsi se non fosse meglio prima quando Berlusconi finanziava le missioni all’estero, quelli di sinistra le chiamavano “missioni di guerra” e andavano in parlamento per esprimere il proprio voto contrario. Oggi il centrosinistra siede al governo ma contro le missioni militari non vota più nessuno, probabilmente ha ragione Gino Strada, uno dei pochi uomini che meritino veramente rispetto, quando afferma che il pacifismo è morto ed occorre iniziare a gridare “siamo contro la guerra”.

Di Pietro la cui fede nella legalità e nel diritto con annessa certezza della pena è da sempre risaputa si ritrova fianco a fianco con gli altri uomini del governo che propongono l’indulto e con Silvio Berlusconi che ringrazia e sorride con quel sorriso che troppe volte abbiamo avuto modo di ammirare.
Di Pietro si autosospende dalla sua carica ministeriale e con un escamotage degno della più fervida fantasia scende in piazza a creare un presidio contro la proposta d’indulto portata avanti dalla sua stessa maggioranza, il siparietto è comico ma almeno dimostra di possedere quel minimo di coerenza che non appartiene a tutti gli altri.
Nessuno si ricorda d’informare i cittadini che grazie all’indulto i criminali ex titolari dell’Eternit non solo scamperanno la propria condanna ma eviteranno anche di risarcire i parenti dei morti ammazzati dall’amianto nel corso degli anni, ma probabilmente questo e altri centinaia di casi similari vengono considerati anomalie senza importanza.

Casini e l’UDC si ritrovano a perfezione nei passi del governo al punto di sembrarne molto più parte integrante di quanto non lo siano molte forze della maggioranza.
Alleanza Nazionale, il partito oggi più vicino ad Israele, è ormai diviso su tutto ed ex di tutto, probabilmente anche ex membro della Casa delle libertà.
Sarebbe giusto spendere qualche parola anche sul decreto Bersani che dopo i tassisti è riuscito a far scendere in piazza perfino gli avvocati e i farmacisti, categorie non proprio abituate a spintonarsi con la polizia, ma in tema di lavoratori che protestano credo sia meglio aspettare l’autunno che insieme al refrigerio porterà sicuramente nelle piazze molte altre schiere di lavoratori fra quelli che in piazza sono abituati a scenderci sempre ma questa volta speravano di non doverlo fare più.

giovedì 20 luglio 2006

Quella risalita che fa scendere la democrazia

Marco Cedolin

La maggioranza di centrosinistra che amministra la città di Rivoli, pur sforzandosi di promuovere convegni sulla decrescita non ha mai dato la sensazione di possedere grande sensibilità riguardo a temi quali la salvaguardia dell’ambiente, del territorio e della salute dei propri cittadini.
Nessuno si è perciò stupito più di tanto nel trovarsi di fronte ad un progetto peregrino come quello della “risalita meccanizzata”, una sorta di scala mobile che dopo varie mutazioni genetiche dovrebbe collegare il famoso Castello di Rivoli, dove è ospitato il museo di arte contemporanea, con un punto della collina situato una trentina di metri più in basso, totalmente privo di negozi, locali e posteggi.

Molto più stupore ha invece destato il fatto che a difendere il territorio da un’opera altamente impattante e sostanzialmente inutile, insieme al Comitato Risalita NO Grazie e all’associazione culturale La Meridiana non si siano ritrovati (come sarebbe stato logico attendersi) i Verdi e la sinistra ecologista, bensì la minoranza di centrodestra (AN, Lega, Forza Italia e UDC) che è stata in grado d’interpretare, senza peraltro cavalcarlo, il disagio dei cittadini.
Non mi preme entrare nei dettagli tecnici della questione, poiché ritengo che il vero nocciolo del problema non alligni in questioni tecniche e finanziarie.

Sicuramente le motivazioni addotte dall’amministrazione per suffragare un’opera costosissima (anche in termini di manutenzione annuale) che stravolge una delle zone fra le più belle e antiche della città sono parse fin da subito molto farraginose e assai poco convincenti. Anche con l’ausilio di molta fantasia è infatti difficile immaginare che una scala mobile lunga 30 metri che si perde nel vuoto possa rivitalizzare come paventato il commercio nel centro cittadino in mancanza di un piano strategico volto ad ottenere questo effetto. Così come pare insensato che un’opera venga motivata semplicemente dal fatto che i finanziamenti sono già stati stanziati e si perderebbero nel caso non venisse costruita. Preferisco poi lasciare obliare nel dimenticatoio paragoni impropri proposti dall’amministrazione come quelli fra Rivoli e Perugia ed esercizi di demagogia creativa volti a dimostrare che la suddetta scala mobile sarebbe in grado di risolvere ogni problema della città.

Il vero problema riguarda il tema ben più importante e significativo del rispetto della democrazia.
Sul progetto della risalita meccanizzata è stato infatti indetto un referendum comunale in virtù del quale il 2 luglio tutti i cittadini sono stati chiamati alle urne per pronunciarsi favorevolmente o meno riguardo all’opera.
Nonostante la data della consultazione sia stata posizionata in un’assolata domenica di luglio, evitando volutamente la concomitanza con il referendum costituzionale (cosa che avrebbe determinato oltretutto un notevole risparmio di denaro pubblico), nonostante il comune abbia mancato al suo impegno d’informare i cittadini in merito all’esistenza della consultazione stessa, nonostante l’amministrazione abbia fatto propaganda per il SI ben oltre i termini consentiti dalla legge, il referendum si è tenuto ed il NO alla risalita si è affermato con oltre il 60% dei consensi.
Si è trattato di un referendum consuntivo il cui scopo è quello di rendere pubblica la posizione dei cittadini nei confronti di una determinata tematica, in questo caso la prevista costruzione della risalita. Gli unici numeri ad avere importanza sono quelli dei SI e dei NO essendo il dato dell’affluenza alle urne del tutto ininfluente come avviene nelle elezioni politiche dove la validità delle stesse non può certo essere messa in dubbio dall’eventuale esiguità del numero dei votanti.

Queste semplici considerazioni sono sembrate non appartenere al bagaglio democratico del sindaco Guido Tallone che si è immediatamente profuso in dichiarazioni ai giornali tanto sconvolgenti da rasentare l’autolesionismo. Tallone ha affermato che l’opera sarebbe iniziata in tempi brevi poiché la bassa affluenza al referendum (circa il 20% a luglio senza che i cittadini fossero informati) rendeva ininfluente il pronunciamento e lo incoraggiava nell’intenzione d’iniziare i lavori.
Fatta la debita premessa che un referendum consuntivo non impegna l’amministrazione a desistere da un progetto ma dovrebbe comunque imporre alla stessa una riflessione sull’opportunità o meno di continuare per la propria strada contro il parere della maggioranza dei cittadini, credo sia evidente che Tallone e l’amministrazione sono stati vittima di un abbaglio quanto mai grave.
In democrazia chi si reca a votare (tranne nel caso dei referendum abrogativi) esprime la volontà di tutti coloro che hanno diritto al voto. Chi non va a votare rinunciando al proprio diritto/dovere viene automaticamente rappresentato da coloro che il voto lo hanno espresso.
Queste dichiarazioni e la successiva seduta del consiglio comunale che ha ribadito le stesse posizioni hanno prodotto fra il comitato NO risalita e l’amministrazione un muro contro muro certo poco edificante in quanto unica risultante del totale disprezzo delle più elementari regole democratiche.
Il 14 luglio si è svolta una fiaccolata di protesta e in quell’occasione è stato istituito un presidio volto a contrastare l’eventuale inizio dei lavori.
Lunedì 2 ottobre circa un centinaio di cittadini si sono opposti pacificamente all’inizio dei lavori contrastando l’installazione del cantiere e l’amministrazione si è vista costretta a desistere momentaneamente da un’operazione che avrebbe potuto condurre in porto solo con l’ausilio della forza pubblica.

Il sindaco Tallone nonostante l’esito del referendum e la palese contrarietà di gran parte della popolazione non sembra comunque assolutamente propenso a mettere in discussione l’opportunità dell’opera e pur avendo indetto un tavolo di confronto si manifesta intenzionato ad iniziare i lavori dopo una pausa di una decina di giorni. I cittadini che contestano si dicono pronti a continuare il presidio ad oltranza, opponendosi agli scavi in maniera pacifica ma estremamente risoluta.Viene spontaneo domandarsi se valga davvero la pena di mettere a repentaglio la democrazia e la pace sociale per costruire una scala mobile lunga 30 metri che nessuno sembra volere tranne coloro che la propongono. La risposta credo sia una sola poiché ritengo sarebbe segno d’intelligenza per ogni amministratore ammettere di avere fatto una scelta sbagliata.

Il pensiero unico

Marco Cedolin

Chiunque di noi con l’ausilio di un videoregistratore e un paio d’ore di tempo può fare un semplice esperimento volto a dimostrare come l’Italia della campagna elettorale e quella di oggi siano due paesi che a dispetto della cartina geografica si trovano agli antipodi uno rispetto all’altro.
E’ sufficiente prendere dalla scansia qualche vecchia videocassetta sulla quale avevamo registrato (magari per sbaglio) una puntata di Ballarò, qualche concitato scontro verbale andato in onda su Matrix, l’infinita sequela di dichiarazioni esperite dai vari esponenti politici che con furia belluina per mesi si sono disputati il monopolio del tubo catodico, oppure se si è fortunati possessori dell’ambita reliquia, perfino lo storico faccia a faccia a cronometro Berlusconi vs Prodi o l’altrettanto struggente sequel Prodi vs Berlusconi.

Le immagini ci ricorderanno come tutta la campagna elettorale abbia mostrato due schieramenti contrapposti che si affrontavano usando toni molto accesi e palesando apparentemente abissali differenze nel modo di affrontare le varie tematiche politiche sia di ordine nazionale che internazionale.
Gli uni a propagandare un paese in salute grazie all’enorme mole di riforme messe in atto, tutte eccezionali e tutte indispensabili, gli altri a piangere un paese devastato da 5 anni di malgoverno, con le famiglie non più in grado di arrivare alla fine del mese, la sanità lasciata senza fondi, il lavoro precario dilagante.
Gli uni appiattiti sulle posizioni americane ed israeliane, disposti ad “investire” in uomini e mezzi nelle guerre di Bush, tutti lì a soffiare sulle ceneri dell’odio anti islamico, agitando lo spettro del terrorismo quale minaccia globale buona per ogni occasione; gli altri a difendere il pacifismo, a promettere immediati disimpegni militari, disposti ad impegnarsi per far si che i nostri troppi soldati di pace evitassero di trasformarsi in altrettanti caduti di guerra.
Nelle immagini delle videocassette i contorni delle cose erano netti, le contrapposizioni chiare, così come si percepiva altrettanto chiaramente l’impressione di trovarsi di fronte a due interpretazioni profondamente diverse della realtà sia in chiave presente che futura.

L’Italia del dopo elezioni che man mano emerge in questi mesi è un paese sfocato, brumoso dove tutti cercano di mistificare la realtà giocando con il senso delle parole.
Un paese dove governo ed opposizione sembrano essersi fusi in un’unica classe politica, appiattita sulle medesime logiche di potere ed eterodiretta dall’alto.
Il voto di ieri alla Camera concernente il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, approvato praticamente all’unanimità da tutti i deputati (549 voti favorevoli e 4 contrari) dimostra inequivocabilmente la presenza di un “pensiero unico” favorevole alla presenza militare del nostro paese a fianco degli Stati Uniti laddove a Bush necessiti un appoggio armato.
Anche di fronte alla guerra (perché di sporca guerra si tratta e non di crisi) che lo Stato d’Israele sta conducendo in Libano si percepisce lo stesso pensiero unico, perché al di là delle tenui sfumature con le quali si cercano di colorire le parole, governo ed opposizione due sere fa erano a Roma dalla stessa parte della barricata a difendere i diritti d’Israele quasi si trattasse di una guerra fra due superpotenze e non dell’aggressione da parte di uno dei più potenti eserciti del mondo che ha deciso d’invadere uno stato sovrano adducendo come scusa del suo gesto il rapimento di 2 militari.
Se si eccettuano le prese di posizione dei partiti della cosiddetta “sinistra radicale” dove l’accezione radicale (che non cesserà mai di stupirmi) indica semplicemente un minimo di coerenza con le idee da sempre patrimonio della sinistra, nessun rappresentante del governo e dell’opposizione si è minimamente preoccupato della catastrofe umanitaria consistente in oltre 700.000 profughi cacciati dalle proprie case. Tutti esternano preoccupazione e biascicano parole di rincrescimento ribadendo il diritto d’Israele a difendere la propria sicurezza, dimenticando colpevolmente che in Medio Oriente da sempre dentro i campi profughi ci sono i palestinesi della cui sicurezza non è mai importato nulla a nessuno.

Anche nel DPEF che pur sommariamente identifica la direzione nella quale il governo intende muoversi in materia finanziaria il pensiero unico si ripropone con chiarezza adamantina. Tagli alla sanità, alle pensioni, nuovi sacrifici per le famiglie (ma non era stato ripetutamente affermato che le stesse famiglie già si trovavano nell’incapacità di arrivare alla fine del mese?) lotta all’evasione fiscale e tagli agli sprechi. Seppure con una manovra di dimensioni notevolmente inferiori Tremonti aveva fatto e detto praticamente le stesse cose varando l’ultima finanziaria.
Nel leggere il decreto Bersani messo in essere con l’intento di smantellare alcune corporazioni per sostituirle con altrettanti oligopoli anche se mascherato attraverso buoni sentimenti quali la “difesa del consumatore” molti rappresentanti del centrodestra hanno affermato che tale operazione avrebbero dovuto portarla avanti loro nella passata legislatura.
In effetti l’accentramento del commercio e dei servizi nelle mani di pochi colossi e multinazionali, la propensione a favorire l’assorbimento di tutti i piccoli gruppi industriali e finanziari, la volontà di dissipare enormi risorse (anche in questo caso come per le missioni militari la necessità di tagliare gli sprechi viene lasciata obliare) nella costruzione delle grandi opere che spesso si rivelano vere e proprie cattedrali nel deserto, appartengono tanto al governo quanto all’opposizione.

Il pensiero unico è rimasta l’unica grande certezza di questo paese dove tutti i partiti politici si accapigliano l’un l’altro nel tentativo d’inglobarsi anche loro in un soggetto politico sempre più grande, fingendo d’ignorare che il partito unico in realtà esiste già ed è sotto gli occhi di tutti.

lunedì 3 luglio 2006

Questa sinistra tanto americana

Marco Cedolin

Il decreto Bersani, contenuto nella manovra bis che il governo si appresta a varare è il primo atto di una certa rilevanza messo in essere da questo esecutivo e si rivela quanto mai indicativo della linea di tendenza che il governo Prodi intende perseguire nell’ambito di materia economica.
Liberalizzare al fine di favorire la concorrenza è stata fin dall’inizio degli anni 90 la parola d’ordine attraverso la quale le forze politiche di ogni colore hanno tentato di scimmiottare il modello americano, ottenendo in verità pessimi risultati e peggiorando talvolta la situazione preesistente.
Il consumatore che avrebbe dovuto essere il soggetto deputato a fruire dei benefici di liberalizzazioni e concorrenza si trova infatti oggi in una situazione molto più complicata e sfavorevole di quanto non lo fosse 15 anni fa.

Anche in questo caso Bersani strizza l’occhio ai consumatori, attaccando gli interessi corporativi nel nome del libero mercato e della libera concorrenza. Leggendo le cose in questo modo non ci sarebbe nulla de eccepire e sembrerebbe che il decreto sia in grado di coniugare il pensiero di sinistra con la moderna realtà della società capitalista occidentale.
Se entriamo però nel merito del decreto stesso scopriamo che la realtà si rivela molto differente rispetto ai nobili propositi propagandati.

La liberalizzazione delle licenze dei taxi ed il permesso dato ad un unico soggetto di possedere e gestire più taxi è senza dubbio il punto che colpisce più di ogni altro e sta già iniziando a suscitare polemiche.
I tassisti innanzitutto, pur risultando nella nostra normativa come imprenditori o liberi professionisti, non somigliano neppure da lontano ad una classe privilegiata detentrice magari di grandi capitali. Chi possiede un taxi in Italia ha pagato la propria licenza a caro prezzo e si spende in un lavoro duro all’interno di città caotiche ed inquinate, con il solo risultato di riuscire a sbarcare il lunario alla stessa stregua della maggior parte dei lavoratori dipendenti.
Non occorre essere dotati di una mente eccelsa per comprendere che la liberalizzazione metterà in ginocchio molti tassisti, i quali mentre stanno ancora pagando il debito relativo all’acquisto della licenza si ritroveranno con il valore della stessa diventato uguale a quello della carta straccia e la redditività del proprio taxi profondamente diminuita grazie all’enorme aumento dei mezzi concorrenti. Così come appare lapalissiano che il permesso per un unico soggetto di gestire più taxi comporterà automaticamente la concentrazione del mercato nelle mani di pochi soggetti con disponibilità economiche elevate, alla stessa stregua di quanto è già avvenuto in passato in molti settori del commercio.
La bella favola secondo la quale tramite la concorrenza si abbasseranno le tariffe sarà come sempre destinata a rimanere una chimera, poiché nessun soggetto imprenditoriale sarebbe così folle da operare senza ottenere un minimo margine di guadagno e l’ampliamento della quantità di taxi circolanti avrà già ridotto al minimo il margine stesso.
Nasceranno insomma le grandi compagnie di taxi che nel medio e lungo periodo costituiranno un cartello e porteranno gradualmente verso l’alto le tariffe, così come è già avvenuto per le banche e le assicurazioni.

I farmacisti come categoria non sono certo assimilabili a chi guida un taxi, essendo innanzitutto la redditività delle loro imprese di gran lunga più elevata, ma anche in questo ambito dietro al mistificatorio velo di buone intenzioni si può intravedere un disegno di segno ben diverso.
La liberalizzazione introduce la possibilità per un unico soggetto di essere titolare di più farmacie, associarsi, gestire attività all’ingrosso e al dettaglio, senza vincoli territoriali all’attività.
Anche in questo caso senza l’ausilio di molta fantasia è facile apprezzare l’apertura del settore alle economie di scala e ai grandi capitali, laddove oltretutto soggetti economicamente preminenti potranno costruire veri e propri “imperi” grazie alla commistione fra catene di punti vendita e ingrossi farmaceutici. Per quanto concerne gli ingrossi farmaceutici scompare inoltre l’obbligo di detenere almeno il 90% delle specialità in commercio (per i medicinali non ammessi al rimborso da parte del SSN) con ricadute certo non positive per il consumatore finale che in questo caso è spesso un soggetto debole in quanto afflitto da problemi di salute.
La possibilità data ai supermercati di vendere i farmaci da banco, se da un lato favorirà i consumatori in termini di comodità e possibilità (tutta da verificare) di ottenere sconti sugli stessi, dall’altro li priverà dell’assistenza di una figura competente in grado di consigliarli al meglio (stiamo comunque sempre parlando di farmaci) e soprattutto sposterà un mare di miliardi nelle tasche della grande distribuzione. Le varie COOP, Auchan, Carrefour, Panorama e tutta la lobby degli ipermercati sono in realtà gli unici soggetti che gongolano in virtù della novità.

La soppressione della distanza minima tra un esercizio commerciale e l’altro e la liberalizzazione delle merci che possono essere tenute in un negozio, così come quella riguardante la produzione di pane fanno da corollario al tutto, contribuendo a smantellare quelle poche nicchie in ambito commerciale che ancora erano riuscite a sottrarsi all’oligopolio della grande distribuzione.

Le associazioni dei consumatori si dicono soddisfatte dai provvedimenti, forse ostentando troppa fretta nel prendere una posizione. I consumatori, come gli automobilisti sono in realtà una categoria omnicomprensiva della quale fanno parte anche i tassisti, i commercianti, i farmacisti e qualunque categoria trarrà dal decreto Bersani grossi svantaggi, senza contare che i benefici vanno apprezzati quando si traducono in realtà e non sono soltanto ventilati ipoteticamente sulla carta. Le sorprese in questo senso sono state talmente tante da avercene fatto perdere il conto.

Togliere reddito alle categorie medie per introitare tale reddito nelle casse di chi detiene il grande capitale non mi sembra in tutta sincerità un pensiero di sinistra, al contrario risulta in sintonia con il modello americano, proprio quel modello che il centrosinistra nostrano insegue pedissequamente inneggiando ogni giorno a miti ormai desueti quali crescita, sviluppo, concorrenza, modernizzazione, competitività. Un risultato sicuramente il nuovo governo targato Romano Prodi lo ha già ottenuto, rubando al centrodestra tutte le idee che in 5 anni ha avuto timore di tradurre in realtà, lo ha messo nella condizione di non avere i mezzi per prodursi in alcun tipo di opposizione.