giovedì 31 luglio 2008

Scajola e la favola del carbone pulito

Marco Cedolin

Bruttissima giornata quella di ieri per i cittadini di Civitavecchia, costretti ad assistere all’inaugurazione della nuova centrale a carbone di Torre Valdaliga Nord, nonché a subire le stonate parole del maldestro ministro Scajola che presenziando alla cerimonia è incorso in un’imbarazzante gaffe avente per oggetto gli operai morti durante la costruzione dell’opera, da lui trattati con sufficienza alla stessa stregua di un qualsiasi sopportabile effetto collaterale.

Esternazioni fuori luogo di Scajola a parte, il vero dramma è costituito dalla centrale Enel di TVN, entrata oggi provvisoriamente in funzione a metano anziché a carbone in quanto tuttora priva dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Un vero mostro destinato a bruciare 600 tonnellate di carbone l’ora, rilasciando 6.300.000 metri cubi di fumo carico d’inquinanti, nonostante l’Enel, la “buona stampa” ed un folto stuolo di esperti compiacenti le abbiano attribuito impropriamente la patente di “centrale a carbone pulito”. La centrale di TVN pulita non lo è affatto in quanto adotta il tradizionale sistema di Combustione del Carbone Polverizzato (PCC) che determina il rilascio di emissioni nocive costituite da metalli pesanti e nanopolveri, in grado di elevare il tasso di mortalità nella popolazione esposta fino a 300 km dal punto di emissione degli inquinanti, e non la tecnologia sperimentale di Ciclo Combinato di Gassificazione Integrata del Carbone” (IGCC) che una volta perfezionata potrebbe essere definita a basso impatto ambientale. Ed in quanto sporco, così come il carbone che utilizzerà, l’impianto di TVN metterà seriamente a rischio la salute delle popolazioni residenti nell’area soggetta alla ricaduta delle sostanze inquinanti (come numerosi studi medici stanno a dimostrare) danneggerà l’agricoltura compromettendo lo stato dei terreni e contribuirà allo sforamento del protocollo di Kyoto determinando un aggravio di circa 500.000 euro delle sanzioni a carico dell’Italia.

La favola della centrale a carbone pulito di TVN, pubblicizzata in TV e sui giornali come un capolavoro di tecnologia ed innovazione, ma in realtà priva di qualunque velleità ecologica e tecnologicamente non proprio all’avanguardia, non sembra comunque avere convinto molti fra i cittadini che saranno costretti a subire sulla propria pelle le conseguenze nefaste dell’impianto. Un folto gruppo di contestatori, costituito da coloro che da anni si battono contro la costruzione della centrale, ha infatti accolto la cerimonia d’inaugurazione organizzando un vero e proprio corteo funebre con tanto di bare e donne vestite di nero, per celebrare neppure troppo metaforicamente il funerale di un intero territorio e dei suoi abitanti, immolati sull’altare della sete di profitto dell’Enel e probabilmente giudicati dal ministro Scajola come l’ennesimo sopportabile effetto collaterale di un progresso che annerisce i polmoni, come il carbone.

mercoledì 30 luglio 2008

Illuminati dal Sahara

Marco Cedolin

Ai teorici della crescita infinita, proponimento che all’interno di un mondo finito rappresenta un cortocircuito logico quanto mai disarmante, non manca certo la fantasia, né mancano i danari (quelli dei cittadini contribuenti) per tradurla in pratica qualora esista l’opportunità di trasformarla in profitti miliardari. Questi signori che drammaticamente rappresentano la classe dirigente della società occidentale hanno fatto proprio il vecchio adagio secondo il quale “se hai in testa un martello finirai per vedere tutti i problemi sotto forma di chiodi” e continuano a proporre la soluzione di qualunque problema attraverso la costruzione di grandi opere faraoniche tanto costose quanto inutili e devastanti.
Dopo avere spaziato attraverso centrali nucleari, megadighe, tratte ferroviarie ad alta velocità, megatunnel, megainceneritori e colossali infrastrutture cementizie di ogni genere, ora sembrano essere pronti ad affrontare con lo stesso spirito anche le opportunità offerte dalle fonti energetiche rinnovabili che potrebbero costituire il viatico per la costruzione di nuove grandi opere che nulla avranno da invidiare alle precedenti.

All’Euroscience Open Forum tenutosi a Barcellona qualche giorno fa, Arnulf Jaeger-Walden dell’Istituto per l’Energia della Commissione Europea ha presentato un progetto del costo previsto di 50 miliardi di euro che stando a quanto dichiarato dal quotidiano britannico Guardian e ripreso dal Corriere della Sera avrebbe già ottenuto l’approvazione convinta del presidente francese Nicolas Sarkozy e del premier britannico Gordon Brown. Il progetto, che secondo i proponenti con il petrolio alle stelle rappresenterebbe l’unica via di uscita, prevede la creazione di un’immensa distesa di pannelli solari (grande quasi quanto il Galles) all’interno del deserto del Sahara, in grado di produrre, in un futuro temporalmente ancora non definito, abbastanza energia da potere illuminare tutta l’Europa. I ricercatori sosterrebbero che i pannelli solari nel Sahara saranno più efficaci perché in quella zona la luce solare è più intensa e, quindi, sarà possibile produrre tre volte più energia che in una centrale simile costruita nel nord Europa, aggiungendo che l’alto costo del progetto sarà determinato soprattutto dalla necessità di costruire una nuova rete di trasmissione con i Paesi del Mediterraneo perché quella attuale non sarebbe in grado di sostenere la quantità di energia in arrivo dell’Africa del nord.

Se questi signori provassero ad ignorare per un attimo il martello che alberga nella loro testa e la sete di profitto che mai li abbandona, prenderebbero facilmente coscienza del fatto che lo sfruttamento ottimale dell’energia solare si può ottenere esclusivamente attraverso l’autoproduzione locale all’interno di sistemi di distribuzione a maglie strette che consentano gli scambi delle eccedenze nell’ambito di territori quanto più possibile ristretti. Anziché dilapidare ogni grammo di silicio esistente sul pianeta per tappezzare il Sahara di pannelli solari e poi costruire svariati migliaia di km di elettrodotti nel tentativo di trasportare in Europa quella parte di energia che non sarà andata dispersa durante il tragitto, i ricercatori dell’Istituto per l’Energia della Commissione Europea potrebbero invece creare un progetto (meno adatto a costruire profitti miliardari ma assai più efficiente) che preveda la collocazione di pannelli solari sul tetto di ogni casa e contempli una rete di distribuzione locale finalizzata a massimizzare il rendimento e ridurre al minimo le perdite di trasmissione.
Basterebbe concepire tante piccole opere intelligenti, di grande utilità e scarso impatto ambientale, invece di una grande opera priva di senso, costosissima, ambientalmente impattante e dallo scarso rendimento, basterebbe non avere in testa il martello e nutrire la consapevolezza che non esiste la crescita infinita.

lunedì 28 luglio 2008

Tutti difendono i precari

Marco Cedolin

La cosiddetta norma “anti - precari” consistente nella proposta di cancellare l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato in caso di sentenza favorevole al lavoratore, da parte di un giudice del lavoro, sostituendolo con un indennizzo variabile fra le 2,5 e le 6 mensilità ha fatto si che il carrozzone mediatico sia ritornato ad occuparsi di lavoro precario, sia pure a tempo determinato ed unicamente per farsi portavoce dell’indignazione esternata dalla gran parte dei rappresentanti politici (perfino da molti fra coloro che compongono la maggioranza) e sindacali che in queste ore stanno contestando la nuova norma, tentando di ergersi al ruolo di paladini dei lavoratori precari, pur essendosi manifestati da sempre strenui difensori della precarietà.
Senza dubbio l’emendamento in questione, che oltretutto elimina la norma che tutelava i lavoratori precari dal ricatto delle dimissioni in bianco, costituisce l’ennesima regalia fatta a Confindustria annientando i diritti dei lavoratori, ma ritengo estremamente ipocrita il fatto che partiti politici e sindacati tentino di ricondurre all’interno di questa questione un dramma quale la completa distruzione del mondo del lavoro nel nostro Paese. Una distruzione creata da quella legge 30 voluta da tutti i partiti politici e da Cgil Cisl e Uil, contro la quale a chiunque è impedito di pronunciarsi senza essere meschinamente accusato (come accaduto in occasione del V-Day di Beppe Grillo lo scorso settembre) di oltraggio alla memoria del defunto Marco Biagi.

Proprio per questa ragione anziché la diatriba urlata intorno alla norma “anti – precari”, preferisco proporre una mia riflessione di qualche tempo, fa purtroppo drammaticamente attuale, avente per oggetto la legge Biagi, rimanendo profondamente convinto del fatto che anziché fingere di difendere i precari occorra prodigarsi per eliminare realmente la precarietà.


UNA VITA AD INTERIM


La legge 30 venne presentata come un farmaco miracoloso in grado di coniugare una ritrovata competitività dell'imprenditoria nostrana, con il benessere dei lavoratori più flessibili e felici, il tutto attraverso un'iniezione di modernità assoluta che ci poneva ai vertici nel mondo per quanto concerne la materia. In realtà, essa nacque con lo scopo precipuo di regolamentare ed ampliare il sistema del lavoro in affitto già introdotto negli anni precedenti dal governo di sinistra, con la compiacenza del mondo sindacale ed imprenditoriale .
Il progetto mirava a sovvertire completamente il concetto stesso di lavoro così come lo si era inteso fino ad allora, sostituendo gli uffici di collocamento pubblici con fantomatiche “agenzie del lavoro”, organismi privati o privato sociali ai quali veniva data la possibilità di perseguire un profitto attraverso un sistema di gestione utilitaristica del lavoratore, assunto a tempo determinato dalle agenzie stesse e poi dato in affitto alle aziende.
La possibilità di agire in questo senso fu data alle agenzie interinali, ai sindacati, ai consulenti del lavoro ed alle università. Nell’ambito della riforma furono inseriti il “lavoro a progetto” con lo scopo di aggirare il minimo salariale di retribuzione oraria, il “lavoro occasionale” che non può durare più di un mese all’anno né ricevere un compenso superiore ai 5000 euro, il “contratto intermittente” ed il “lavoro a coppia” nell’ambito del quale due lavoratori sono costretti a dividersi un misero salario.
Oggi possiamo affermare con certezza che la rivoluzione del mercato lavoro da molti ritenuta indispensabile, nell'ambito della quale la riforma Biagi ha dato un corposo contributo, è andata ben al di là di quanto potessero supporre gli stessi sostenitori della flessibilità esasperata.
In realtà più che di un mercato nell'accezione propria del termine (dove s'incontrano chi compra e chi vende) si tratta di una sorta di bazar, variopinto e colorato, all'interno del quale tutti tentano di vendere qualcosa, ma ben pochi sembrano disporre dei soldi necessari all'acquisto, nonostante i prezzi siano da saldo di fine stagione.
Sono nate come funghi le agenzie interinali, con un tasso di proliferazione sconosciuto nel regno vegetale.Le agenzie interinali, che attecchiscono come zecche sulle spalle ammorbidite dai maglioncini di cachemire degli imprenditori e su quelle ricoperte da indumenti molto meno chic della massa sempre più imponente di coloro che sono alla disperata ricerca di un'occupazione. Le agenzie interinali, piccole nello spirito grandi nei numeri, essendo esse ormai parecchie centinaia, sanguisughe alle quali è stato permesso di monopolizzare ogni centimetro quadrato delle pubblicazioni, cartacee e non, dedicate alla ricerca lavoro.

Le agenzie interinali risultano di proprietà dei grandi gruppi bancari, assicurativi ed industriali, delle associazioni sindacali quali Cgil Cisl e Uil e di quelle appartenenti al mondo cattolico come le Acli. Si tratta di un panorama quanto mai eterogeneo, accomunato nel perseguire facili guadagni ai quali aggiungere un controllo sempre più diretto sulle prospettive di quelle persone che oggi si ama definire "risorse umane" quasi si trattasse di semplici oggetti di consumo da usare e poi cestinare allorquando non risulta più remunerativo il loro sfruttamento.
Le agenzie interinali possiedono uffici eleganti, quasi sempre nel centro delle città, hanno nomi accattivanti, spesso parlano inglese, talvolta promettono molto, alcune cercano d'ispirare fiducia, altre sprizzano ottimismo da tutti i pori.
Si passa dalla macabra aggressività di "Heads Hunters" alla quasi monastica e rassicurante " Opera Labori" dalla bonaria e comprensiva "Umana" all'avveniristica "Space Work". Per chi ama l'iperattività e la persegue come traguardo di vita la scelta risulta ampia ed assai variegata. Si può scegliere fra l'anglosassone "Work & Work" e l'italianissima "Lavoropiù" la stakanovista "Obiettivo Lavoro" e la "Start" che se rappresenta una partenza viene voglia di mettersi le mani nei capelli immaginando quale possa essere il punto di arrivo.
Si attraversa l'aperto maschilismo di "Men at Work" e "Manpower" il pacato comunitarismo di "Team Work" e la sublimazione della filosofia Unieuro di "GEVI (generazione vincente)" che non si trattasse di quella del 68 lo si era in fondo capito subito.
Alcune levano subito dal capo dell'aspirante risorsa ogni cattiva illusione che possa per errore albergarvi. "Ad Interim" e se con il latino avete qualche difficoltà di traduzione perché a scuola stavate sempre a filosofeggiare con la vicina di banco "A Tempo" che più chiaro di così non si potrebbe dirlo. Se poi amate espandere i vostri confini c'è "Eurointerim" per sottolineare il fatto che le disgrazie non sono esclusivo appannaggio di casa nostra.
Nel caso qualcuno avesse ancora degli irragionevoli dubbi può contattare "Quandoccorre Interinale" che chiarisce in maniera oltremodo esaustiva il concetto che lavorerai finché ci servi e non un giorno di più.
Per tornare alle reminescenze intelletualoidi da liceo classico c'è "Flessolabor" nel qual caso è severamente vietato togliere la prima l.
"Sinterim", "Tempor " e "Temporary" rendono perfettamente l'idea della precarietà di qualcosa che sta già per finire pur non essendo ancora neppure iniziato. Ma c'è anche il messaggio rassicurante di "Easy Job" che ti dice che non è poi così difficile ed in fondo in fondo a sopravvivere qualche mese ce la puoi fare, quello complice che ti strizza l'occhio di "Lavoro Mio" una porta spalancata verso il futuro puoi trovarla da "Openjob" ed i fans di Eta Beta possono deliziarsi con la lampadina di "Idea Lavoro". Quanto mai italiana e quasi simile ad uno slogan del ventennio "Italia Lavora" a singhiozzo e con stipendi da fame aggiungerei.
Proviamo ora ad addentrarci nelle bacheche delle agenzie interinali, quelle fisicamente appese alle vetrine delle stesse, quelle stampate sulle pubblicazioni cartacee e quelle virtuali che compaiono sui loro siti internet.
Scopriamo che c'è una grossa richiesta di "Dialogatori" ma ci sfugge quale possa essere l'esatta mansione degli stessi e poi viene richiesta un'età massima di 25 anni e comprovata esperienza nel campo, che trattandosi di dialogo credo appartenga ad ogni essere umano che non abbia avuto la sventura di nascere muto. Si richiede un "Collaboratore polivalente" massimo 30 anni con esperienza (nella collaborazione o nella polivalenza?) per mesi 1.
Si ricercano 40, avete letto bene, 40 in onore all'abbondanza, "Operatori di call center outbound" che tradotto in linguaggio volgare significa esecutori di proposte telefoniche di offerte commerciali, ma scopriamo approfondendo l'argomento che la paga di 300 euro mensili copre a malapena i costi di viaggio e più che di un salario si tratta di un rimborso spese. E' richiesto un "magazziniere" ma l'entusiasmo per avere finalmente trovato un lavoro normale viene subito stemperato dal fatto che il magazziniere con contratto di 1 mese deve possedere conoscenza dell'inglese, diploma, esperienza ed avere massimo 25 anni.
Dopo aver attraversato la richiesta di 5 "Hostess di cassa" bella presenza massimo 25 anni, contratto di mesi due, un "Operatore cuoco per servizi educativi" due "Mulettisti con esperienza su muletto elettrico" uno "Sbavatore" e 5 " Carropontisti" ci soffermiamo sulla richiesta di uno " Specialist risk management" con contratto di mesi tre, è richiesta la laurea, ottima conoscenza inglese e tedesco, esperienza quinquennale nel ruolo, massimo 30 anni e ci domandiamo per quale arcana ragione un siffatto ragazzo prodigio dovrebbe inseguire un'occupazione precaria trimestrale.
Troviamo anche richiesta di un "Life sales manager bankinsurance" e 3 "Business solution aggregator" ma la domanda di "1+1 a.d.e.s.f/o.s.s." c'induce a desistere da ogni ulteriore contatto con il mondo dell'interinale.

In realtà cercare un lavoro tramite le bacheche (virtuali o non) delle agenzie interinali, così come una volta lo si cercava sul giornale è impresa impossibile al limite dell'autolesionismo. Per avere una minima speranza, sempre che si abbia meno di 35 anni, occorre iscriversi presso le agenzie stesse, presentare loro il proprio curriculum, sperando sia il più possibile specialistico e comprenda dei mestieri ancora in voga, magari avere qualche piccola raccomandazione di amici o parenti presso il personale dell'agenzia stessa o meglio ancora presso qualche sindacato che farà da intermediario.
Poi occorre aspettare, accettare di perdere il proprio tempo seguendo gli inutili corsi di formazione ai quali l'agenzia ci consiglierà caldamente di partecipare anche se non hanno nulla a che fare con il nostro percorso lavorativo e che generalmente si svolgono nelle sue sedi, indi accettare il primo lavoro che l'agenzia propone, anche se la sede dello stesso risulta molto lontana da casa nostra e le spese di viaggio si porteranno via buona parte del misero salario, anche se si tratta di un lavoro per il quale non siamo portati. In caso contrario l'agenzia ci depennerà e non riceveremo più telefonate.

Concludendo questa riflessione il mondo del lavoro che troviamo intorno a noi risulta estremamente precarizzato e ricco di contraddizioni. La maggior parte della richiesta si concentra o su mansioni estremamente specialistiche per le quali occorre specifica esperienza o sui lavori di call center il più delle volte sottopagati e con richieste di disponibilità orarie al limite della decenza. L'età massima per aspirare a lavorare si sta livellando sempre più verso il basso, tagliando fuori una grande fascia di lavoratori e la prospettiva di occupazione è mediamente intorno ai 3 mesi.
La richiesta di requisiti per il candidato continua ad aumentare in maniera esponenziale fino alla pretesa del diploma e della conoscenza della lingua inglese nel caso di un operaio generico, di comprovate esperienze triennali per giovani massimo venticinquenni. La laurea, l’età inferiore ai 30 anni ed un’esperienza pluriennale nel ruolo sono diventate ormai prerogative di qualunque posizione appena superiore a quella impiegatizia.
La quasi totalità dei giovani e di coloro che hanno perso un lavoro a tempo indeterminato o si sono visti costretti dal mercato a cessare la propria attività professionale sono oggi costretti a rivolgersi alla fiera dell'interinale, ma con quali prospettive
Innanzitutto quella di non potere mantenere né se stessi né un'eventuale famiglia, poiché purtroppo ogni persona necessita di mangiare tutti i giorni e non ad interim, e non può pagare l'affitto o il mutuo 3 mesi si e 3 no ed allo stesso modo le bollette ed ogni altra spesa fissa che gli compete. In secondo luogo chi lavora temporaneamente non può neppure fruire del credito al consumo per il quale banche e finanziarie richiedono la busta paga di un lavoro a tempo indeterminato. Per non parlare del percorso pensionistico che procedendo ad intermittenza costringe il lavoratore a pagare dei contributi, senza avere la minima speranza che essi un giorno si tradurranno in pensione.

Era davvero necessario tutto ciò? Quali benefici potrà mai portare al paese immolare ogni giorno che passa un numero maggiore d'italiani, sull'altare di una flessibilità esasperata che non ha alcuna ragione d'essere, condannandoli a vivere un presente da inferno, con la prospettiva di dover costruire il proprio futuro sulle sabbie mobili? L'impressione palpabile è che attraverso la riforma Biagi si sia dato il colpo di grazia ad un sistema lavoro che versava già in una grave crisi ed occorra porre rimedio ad una situazione che sta degenerando, creando nuova povertà e togliendo ogni potere d'acquisto e talvolta di sopravvivenza ad una larga fascia della popolazione.
La sensazione è che di un problema così grande e complesso nessuno purtroppo abbia politicamente intenzione di farsi carico. Il centro sinistra ed il mondo sindacale sono in realtà stati i primi ad aprire le porte a questa sorta di legalizzazione del caporalato e non mancano di trarre sontuosi profitti dalla situazione attuale. Il centro destra resta attaccato come un geco alla propria “vocazione imprenditoriale” e tutti quanti prendono ad esempio i deliri onirici dell’Istat che regolarmente riesce a rilevare in Italia una diminuzione della disoccupazione, mentre in realtà con l’eutanasia degli uffici di collocamento e la proliferazione dei contratti a termine è diventato assolutamente impossibile comporre una statistica realistica dell’indice di occupazione.
Tutto ciò accade mentre la gente comune, i lavoratori, i giovani continuano a vivere il dramma che attanaglia il loro quotidiano, un dramma che giorno dopo giorno li sta trasformando in persone ad interim le quali rischiano di perdere anche la propria dignità, oltre a quel salario che le statistiche da tempo indicano essere fra i più bassi d’Europa.

giovedì 24 luglio 2008

Nucleare francese una fuga dietro l'altra



Marco Cedolin

Tricastin, Romans – Sur – Isere, Saint Alban e ancora Tricastin. Nelle centrali nucleari francesi si susseguono le fughe radioattive e per la quarta volta negli ultimi 20 giorni è scattato l’allarme rosso in un impianto transalpino, in un periodo già molto travagliato per l’atomo europeo dopo l'incidente accaduto ai primi di giugno in Slovenia nella centrale nucleare di Krsko ed i 4 incidenti registrati in Spagna a luglio in soli 12 giorni nella centrale nucleare di Cofrentes nei pressi di Valencia.

A Tricastin lo scorso 8 luglio le autorità francesi resero nota la fuoriuscita nell’ambiente, avvenuta il giorno precedente, di 74 kg di uranio. A Romans – Sur – Isere lo scorso 18 luglio l’Autorithy per la sicurezza nucleare francese ammise la fuoriuscita di acque contaminate da elementi radioattivi, pur assicurando che l’incidente non aveva determinato impatti ambientali. A Saint Alban lo scorso 21 luglio 15 operai vennero contaminati dalla fuoriuscita di liquido radioattivo. Ieri 23 luglio, nuovamente a Tricastin 100 operai sono stati contaminati da elementi radioattivi di cobalto 58 fuoriusciti da una tubatura del reattore numero 4 fermo per manutenzione ed immediatamente evacuati dalla centrale.
Proprio intorno al sito nucleare di Tricastin, fra i più grandi al mondo, che non comprende solo la centrale, ma anche una serie di laboratori che lavorano l’uranio grezzo e depositi per le scorie radioattive, sembrano emergere molti scampoli di realtà, fino ad oggi sottaciuti, in grado d’incrinare più di una certezza riguardo alla capacità francese di gestire al meglio le conseguenze di quella sorta di “patto con l’atomo” che in Francia (dove il 78% dell’energia consumata viene prodotta dalle centrali nucleari) ha creato il mito dell’energia “facile”, pulita ed a buon mercato.

Gli incidenti nel sito di Tricastin avvengono da oltre 30 anni, anche se spesso sia la dinamica sia le conseguenze degli stessi sono state tenute nascoste per evitare polemiche e proteste.
Già dal 1964, prima ancora che sorgesse la centrale, il sito ospitava un deposito di scorie radioattive, provenienti da una vecchia fabbrica militare per l’arricchimento dell’uranio, stoccate senza alcuna precauzione, che avrebbero determinato nel corso del tempo la migrazione di 900 chilogrammi di uranio all’interno delle acque sotterranee che riforniscono i pozzi delle famiglie della zona. Ad esso si è aggiunto il deposito per scorie nucleari della Sogema, la società che a Tricastin arricchiva l’uranio per la costruzione degli ordigni nucleari, che contiene 700 tonnellate di scorie radioattive sepolte sotto un cumulo di quattro metri di terra
Nel 1986 una fuga di esafluoruro d’uranio dalla centrale portò il livello di radioattività dell’aria a 130 bequerel per metro cubo, «quando il dato normale è di 0.00001». Nel 1991 si verificò lo sgocciolamento di nitrato d’uranio sulla ferrovia della Sogema,. Nel 1997 si verificò una fuga di uranio arricchito nei terreni. Solamente un paio di settimane fa a due chilometri di distanza dalla centrale sono state trovate falde freatiche e pozzi privati dove il tasso di uranio rilevato dall’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare Irsn, arrivava a punte di 64 microgrammi per litro, ben oltre i 15 ammessi dall’Oms per dichiarare potabile l’acqua.

Energia facile, pulita ed a buon mercato che inizia a manifestarsi sempre più lontana da una realtà costretta a specchiarsi con il dramma dei lavoratori sottoposti alla contaminazione radioattiva e degli abitanti dei comuni che sorgono in prossimità del sito di Tricastin, costretti a convivere con la paura e privati perfino dell’acqua, essendo ormai proibito berla, nuotarci, mangiarne il pesce ed irrigare i campi, destinati ad inaridire in questa fetta di pianura francese immolata, come tante altre, sull’altare di un atomo che sta iniziando a scolorare e preoccupare sempre più.


martedì 22 luglio 2008

Meno treni più gomma

Marco Cedolin

Meno treni, più gomma, potrebbe sembrare uno slogan privo di senso in completa antitesi con le indicazioni contenute nel libro bianco del 2001 e in tutte le direttive UE in tema di trasporti che ritengono indispensabile realizzare al più presto la redistribuzione modale del traffico, spostandolo progressivamente dalla gomma alla rotaia al fine di ridurre i consumi energetici e gli impatti ambientali derivanti dalla movimentazione delle merci.
Invece è esattamente quello che le Ferrovie di Stato stanno facendo in Sardegna, dove dal 24 luglio verrà soppresso il servizio di trasporto merci (treno più nave) da e per l’isola, consegnando di fatto l’intero traffico merci nelle mani delle ditte di autotrasporto privato, fra le quali spicca la società Nieddu s.p.a. capofila nella movimentazione delle merci e già proprietaria di una piccola flotta, che beneficerà perfino dei contributi regionali per trasportare sui TIR quello che fino ad oggi è stato movimentato tramite ferrovia.

Il progressivo disimpegno delle Ferrovie per quanto riguarda il trasporto merci in Sardegna, culminato con la totale rinuncia a portare avanti un servizio esistente dal 1961, ha origini lontane se pensiamo che negli anni 90 ben 6 navi erano impegnate per garantire il collegamento fra Golfo Aranci e Civitavecchia, ma le imbarcazioni una volta dismesse non sono mai state sostituite e dal 2003 al trasporto merci è stata dedicata la sola nave Garibaldi. In funzione di ciò il volume del traffico marittimo – ferroviario, arrivato nel corso degli anni 90 a raggiungere i 3 milioni di tonnellate/anno è progressivamente sceso raggiungendo le 600.000 tonnellate nel 2004, per ridimensionarsi ulteriormente negli anni seguenti.

La completa eutanasia del trasporto merci in Sardegna che comprometterà il futuro di oltre 300 lavoratori, rischiando di portare al fallimento anche alcune aziende private che operano nell’indotto, appare ancora più assurda se letta alla luce dei proclami delle FS che da anni stanno tentando di giustificare gli investimenti miliardari nelle infrastrutture per l’alta velocità con il nobile proposito di indurre un improbabile riequilibrio modale che sposti il traffico merci dalla gomma alla rotaia.
Sui nuovi binari del TAV, pagati da tutti i contribuenti italiani che saranno chiamati a rifondere un debito di 90 miliardi di euro, i treni merci non correranno mai, in quanto un’infrastruttura progettata per leggeri treni superveloci non è in grado di ospitare enormi e pesantissimi convogli merci, se non al prezzo di pregiudicare lo stato dell’infrastruttura stessa. Ma dove, come in Sardegna, le merci già correvano su rotaia da oltre 40 anni le FS hanno deciso che può bastare così e la redistribuzione modale verrà praticata all’incontrario, riportando sugli autoarticolati quella merce che da decenni trasportavano le ferrovie.
Un cortocircuito logico assolutamente privo di senso ed estremamente indicativo della cattiva fede che anima la classe dirigente del Paese, impegnata esclusivamente nel difendere a oltranza gli interessi dei grandi gruppi di potere, senza preoccuparsi di cadere continuamente in contraddizione.
Un cortocircuito logico contro il quale questa mattina, presso lo scalo merci di Cagliari, si è svolta una manifestazione di protesta tanto civile quanto partecipata per chiedere a gran voce che non venga “staccata la spina” al trasporto merci ferroviario nell’isola.

Per chiunque desideri approfondire la questione consiglio la lettura dell’ottimo blog “Ferrovie in Sardegna”
http://merciinsardegna.blogspot.com/
curato dall’amico Antonio Costa e dedicato esclusivamente all’argomento.

lunedì 21 luglio 2008

L'Esercito italiano investe nel futuro

Marco Cedolin

Un interessante articolo di qualche giorno fa comparso sul sito web del Corriere della Sera a firma Giovanni Caprara illustra con dovizia di particolari il grande sforzo economico messo in atto dal nostro Paese per dotare le forze armate di mezzi tecnologici all’avanguardia che consentano all’Italia di allinearsi agli standard degli alleati con i quali opera nei vari teatri di guerra mondiali. Uno sforzo, giudicato dal giornalista del Corriere indispensabile per essere protagonisti con eguali diritti rispetto agli altri partner della Nato, la cui entità sembra smentire le preoccupazioni esternate dalle molte persone che in questi giorni piagnucolano lamentando il taglio delle spese militari indotto dalla prossima finanziaria.

Al soldato del futuro, equipaggiato come un robot e destinato a diventare parte integrante di una rete tecnologica che unisce in tempo reale tutte le forze in campo, sembra non mancheranno assolutamente tanto gli armamenti più sofisticati quanto la tecnologia all’avanguardia attraverso la quale farli funzionare.
Dall'ottobre scorso nelle basi di Gioia del Colle e Grosseto prendono il volo i primi 29 supercaccia Typhoon, costruiti da Alenia Aeronautica - Finmeccanica e Avio, ognuno dei quali è costato 70 milioni di euro, un nuovo gruppo di 46 velivoli della stessa specie sarà disponibile entro il 2012 per una spesa complessiva di oltre 5 miliardi di euro, mentre l’ulteriore acquisto di altri 46 esemplari è ancora oggetto di discussione. Al Typhoon andrà ad affiancarsi nei prossimi anni il nuovissimo caccia Joint Strike Fighter di realizzazione americana che costerà a seconda della versione fra i 50 ed i 60 milioni di dollari. La Marina e l’Aeronautica italiana ne hanno già ordinati rispettivamente 20 e 40 esemplari per una spesa totale di oltre 3 miliardi di dollari, al fine di sostituire gli attuali jet Tornado.
Investimenti ancora non quantificati riguarderanno anche gli aerei senza pilota e 4 nuovi PredatorB andranno ad affiancarsi ai PredatorA già impiegati dall’Aeronautica italiana in Afghanistan e in Iraq.

La nuova portaerei Cavour, costata 1,3 miliardi di euro sta per sostituire la Garibaldi. E’ già stata certificata dalla Nato come sede di comando ed ospiterà a bordo 20 caccia a decollo verticale JSF (quelli da 60 milioni di dollari l’uno) alcuni elicotteri e 1200 persone di equipaggio.
Il primo nuovo cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, al quale presto si aggiungerà il Caio Duilio è già disponibile a La Spezia dal dicembre scorso. Le due unità fanno parte del programma italo/francese Orizzonte che prevede anche la costruzione di 2 navi destinate alla Francia, per un costo di competenza italiana di circa 1,5 miliardi di euro. L’Andrea Doria ospita a bordo elicotteri, 48 missili Aster, lanciasiluri e un equipaggio di 210 uomini.
A partire dal 2012 saranno disponibili 10 nuove fregate multimissione Fremm che rappresentano un vero e proprio concentrato di tecnologia dal costo complessivo di 5,6 miliardi di euro, ognuna delle quali disporrà di 145 uomini d’equipaggio.
A concludere il lungo elenco ci sono i 2 nuovi sottomarini Todaro e Scirè costruiti di concerto con la marina tedesca che dispongono per la prima volta di un innovativo motore a celle a combustibile e sono costati 970 milioni di euro.

Per fare fronte alla “rivoluzione digitale” l’esercito ha investito nel solo 2007 la cifra di 887 milioni di euro utilizzati per progettare e produrre nuovi veicoli blindati, parte dei quali realizzati con la collaborazione dell’Iveco, ed equipaggiare il soldato del futuro con apparati tecnologici degni di un robot. Le soluzioni rappresentano quanto di più fantascientifico si possa immaginare e spaziano dai computer palmari alle telecamere da montare sul fucile, dalle radio con trasmissioni digitali ai navigatori da porre sull’avambraccio, dai visori diurni e notturni di ultima generazione ai giubbetti protettivi di tessuto variabile a seconda del genere di operazione da svolgere. Ai soldati – robot sarà inoltre garantita una rapida capacità di spostamento mediante l’utilizzo dei nuovi elicotteri AgustaWestland Nh-90 frutto di una cooperazione internazionale che richiederà l’investimento di 159 milioni di euro per il solo 2009.

Niente male per un Paese come l’Italia, la cui Costituzione ripudia la guerra, dove è stata ripristinata la tessera annonaria per impedire che la maggior parte dei pensionati muoiano di fame, mentre i giovani laureati sono costretti a mettersi in fila per lavorare dentro a miseri call center dove percepiranno salari sufficienti al massimo per sfamare un animale domestico. Un Paese molto attento ad essere protagonista nella tecnologia di guerra al fianco degli altri partner della Nato, ma purtroppo assai meno attento, non me ne voglia Caprara, quando si tratta di garantire una sopravvivenza dignitosa ai propri cittadini che stanno per essere inghiottiti al di sotto della soglia di povertà.

sabato 19 luglio 2008

Harry Potter d'Italia



Marco Cedolin

Silvio Berlusconi è “sceso” a Napoli per annunciare la fine dell’emergenza rifiuti in Campania, risolta dal suo governo con un vero e proprio colpo di bacchetta magica in soli 58 giorni, durante i quali secondo le sue parole lo Stato è tornato a fare lo Stato e Napoli è ritornata ad essere una città occidentale. Si sarebbe trattato, secondo il premier di una sorta di “missione impossibile” vinta dal governo anche contro tutti coloro che avevano scommesso nella mancata riuscita dell’operazione.
Le strade sono tornate libere dalle 50.000 tonnellate di rifiuti che le ammorbavano, come ampiamente documentato dai servizi del TG5 che hanno mostrato più volte le riprese video di qualche mese fa con i sacchetti della spazzatura che sembravano essere dappertutto, messe a confronto con quelle di questi giorni che documentano strade linde e pulite ai bordi delle quali si possono notare i cassonetti disposti ordinatamente in fila con i coperchi chiusi.
Ora che la fase drammatica dell’emergenza come per incanto è terminata si deve provvedere, nelle intenzioni del Premier, alla messa a regime di tutto il sistema dei rifiuti che consiste nel costruire e mettere in funzione 4 inceneritori, che saranno finanziati con il denaro dei consumatori tramite i contributi Cip6, all’interno dei quali bruciare la spazzatura. Un’operazione, quella di costruire e rendere operativi i forni inceneritori, che dovrebbe essere portata a termine nel giro di tre anni, anche se Berlusconi da inguaribile ottimista ha dichiarato di sperare che ne possano bastare due, dopodiché le strade di Napoli, dice il Cavaliere, dovranno somigliare a quelle di Tokyo dove non si vede neppure un mozzicone di sigaretta.

Ogni italiano alla luce di questa “bella notizia” si trova giocoforza di fronte ad un dilemma che lo costringe a prendere posizione e domandarsi come sia stato possibile tutto ciò.
O il Cavaliere è dotato di poteri sovrannaturali che gli consentono di sovvertire le leggi della fisica e dilatare a piacimento lo spaziotempo, oppure siamo stati tutti presi in giro dal carrozzone della politica e dell’informazione che ci ha imboniti presentandoci come vero un ologramma preconfezionato, costruito per ottenere maggiori consensi elettorali ed il pieno appoggio dell’opinione pubblica nei confronti di un progetto tanto assurdo quanto anacronistico come quello di riempire la Campania di forni inceneritori.

La risposta ovviamente è retorica in quanto il Presidente del Consiglio nelle vesti di Harry Potter non sarebbe più credibile di quanto Tremonti lo sia in quelle di Robin Hood, ma come sono riusciti a raggirarci così abilmente da far si che la maggior parte di noi non si accorgesse di nulla?
Va considerato come l’intero ologramma sia parso convincente arrivando ad ottenere l’effetto desiderato, grazie ad un barbatrucco tanto semplice quanto geniale che ha consentito di costruire l’intera rappresentazione sulla base di un assioma indimostrato ma da tutti accettato come buono.
L’immondizia stava invadendo le strade di Napoli perché le discariche erano piene e non esistevano inceneritori.

In realtà si trattava di una pura menzogna creata fingendo d’ignorare il fatto che la raccolta della spazzatura e lo smaltimento della stessa rappresentano due fasi differenti della gestione dei rifiuti, la prima delle quali non deve necessariamente cessare di esistere anche qualora si manifestino serie problematiche nel portare avanti la seconda.
La monnezza ha invaso le strade di Napoli, creando l’emergenza che ha riempito per mesi le pagine dei giornali e gli schermi della TV, semplicemente perché qualcuno ha deciso che i camion compattatori non dovevano più andare a raccoglierla, scatenando di fatto il caos marcescente che tutti abbiamo avuto modo di ammirare. Se i camion avessero continuato a raccogliere la spazzatura destinata a trasformarsi in “ecoballe” magari ammonticchiate in depositi di fortuna come era accaduto fino ad allora, le strade di Napoli sarebbero comunque rimaste linde e pulite come le vediamo oggi, i “teppisti invisibili” non avrebbero avuto nulla da bruciare, i giornali non avrebbero potuto parlare dell’annientamento del turismo, Berlusconi non sarebbe stato giustificato a dichiarare Napoli una città ormai avulsa al conteso dell’occidente, i napoletani non si sarebbero ritrovati esasperati oltremisura dalla difficile convivenza con i cumuli di spazzatura maleodorante che invadevano le carreggiate.
A pensarci bene 58 giorni sono perfino troppi, anche per una persona normale, per compiere un miracolo che in fondo è consistito solamente nell’ordinare agli autisti di tornare nelle strade a raccogliere l’immondizia e l’unico vero miracolo consiste nel fatto che i media riescano ad ostentare serietà nel presentare come credibile la fine di una burla di questo genere.

venerdì 18 luglio 2008

Treni ad alta pericolosità

Marco Cedolin

La notizia riferita dai delegati Rsu/Rsl dell'Assemblea nazionale ferrovieri, riguarda un fatto accaduto il 14 luglio ma è stata resa pubblica con grande risalto sulle prime pagine dei giornali solo oggi, mentre il 15 luglio quegli stessi giornali erano per uno strano scherzo del destino impegnati a promuovere con grande enfasi la società NTV di Montezemolo e soci con i nuovi TAV verniciati rosso Ferrari.
Durante il trasferimento dall’officina di manutenzione alla stazione centrale di Milano un convoglio Eurostar si è letteralmente spezzato in due, senza provocare una tragedia solamente perché fortunatamente il treno era ancora privo dei passeggeri che avrebbe dovuto caricare da lì a pochi minuti.
L’incidente riguarda il treno Eurostar 9427, Milano-Roma delle ore 7,00, un ETR 500 che si è spezzato in due tronconi tra le carrozze 11 e 12, probabilmente a causa dell’usura o dell’inadeguatezza manutentiva dei materiali del gancio. I delegati che hanno dato la notizia hanno riferito che “fortunatamente il fatto è avvenuto a bassa velocità, con il treno vuoto con la sola conseguenza di ritardi e soppressioni di corse per Roma, mentre dopo solo pochi minuti lo stesso treno sarebbe stato in marcia pieno di viaggiatori” e il guasto avrebbe determinato conseguenze ben più drammatiche.

L’episodio non costituisce un fatto isolato in quanto stando alle dichiarazioni dei delegati il 5 aprile nei pressi di Roma l'Eurostar 9437, Milano-Roma delle ore 12, a 250 Km/h, perse il tetto rischiando l'impatto con i treni provenienti in senso opposto ed il 28 maggio, sempre vicino Roma, si spalancò una porta in corsa al 9304, T-biz Roma-Milano delle 18 e 02, mentre viaggiava a 220 Km/h, senza che le apparecchiature lo segnalassero al macchinista.
Accadimenti di questo genere rappresentano la cartina di tornasole che dimostra lo stato di assoluto degrado in cui versano le Ferrovie italiane che hanno negli anni smantellato i servizi di manutenzione, praticando la sistematica riduzione del personale. Un degrado così profondo, come la mancanza di qualunque investimento volto a garantire la sicurezza dei viaggiatori e l’efficienza del servizio stanno impietosamente a dimostrare, lascia intuire che il disfacimento delle Ferrovie italiane non sia da imputare semplicemente ad una cattiva gestione delle stesse, ma rappresenti invece il risultato di un’oculata scelta politico/strategica volta a favorire l’avvento della grande imprenditoria privata, magari recante il logo del cavallino rosso di Montezemolo, che ha in progetto di costruire il proprio profitto utilizzando quelle infrastrutture che le Ferrovie di Stato hanno costruito creando enormi voragini nel loro bilancio ed in quello del Paese.

Il fatto che i principali giornali abbiano dato grande risalto alla notizia dell’incidente del 14 luglio, seppure 4 giorni dopo, al fine di poterla accodare alla campagna pubblicitaria in favore di NTV, indica chiaramente l’apertura di una nuova fase all’interno del programma di smantellamento del servizio pubblico ferroviario.
La fase di sistematica distruzione del servizio e dell’annientamento economico, realizzato quest’ultimo per mezzo degli investimenti faraonici nella truffa dell’alta velocità, è ormai arrivata a maturazione ed è giunto il momento di procedere ad una campagna mediatica che porti a conoscenza di tutti il fatto che le ferrovie sono ormai in tutto e per tutto simili ad un malato terminale che sta collassando senza speranza di guarigione. Questa operazione mediatica rappresenterà il viatico per far si che fra un paio d’anni con l’avvento della liberalizzazione del servizio ferroviario i privati deputati a spartirsi la torta creata attraverso l’eutanasia delle Ferrovie di Stato, vengano accolti dall’opinione pubblica come veri e propri salvatori della patria ai quali sarà giusto “assegnare” le tratte più redditizie negli orari più redditizi affinché possano costruire facile profitto.
Un’operazione sporca all’interno della quale anche l’informazione concernente fatti reali, qualora mirata e dispensata con il giusto risalto ed i giusti tempi, può diventare disinformazione funzionale a fuorviare la sensibilità dell’opinione pubblica.

giovedì 17 luglio 2008

La società del controllo


Marco Cedolin

A partire dal 1° Gennaio 2010 tutti gli italiani saranno obbligati a fornire le proprie impronte digitali per ottenere la carta d’identità, come prevede un emendamento al decreto legge sulla Sicurezza che ha ottenuto il si di maggioranza ed opposizione nelle commissioni Bilancio e Finanza della Camera. Proprio i deputati del PD sembrano essere i più felici per l’approvazione della nuova norma proposta dal Pdl, in quanto a loro dire disinnescherebbe la “questione rom” ora che le impronte verranno prese a tutti.

Non è facile comprendere il cortocircuito logico di cui si fa portatore il centrosinistra, in virtù del quale schedare i cittadini alla stessa stregua dei criminali cessa di essere un’azione riprovevole nel momento in cui la schedatura viene applicata a tutti e non solamente ai bambini rom. Non è facile in quanto un’azione riprovevole quale costringere colui che non ha commesso alcun reato a fornire le proprie impronte digitali rimane tale per la sua stessa natura di coercizione immotivata, a prescindere dal fatto che egli sia o meno un rom, ma questo piccolo particolare sembra essere sfuggito ai deputati di Walter Veltroni che si felicitano in quanto una randellata in testa a tutti rende tutti più “uguali” e felici, nonché collettivamente partecipi di un unico destino che è quello di assaggiare il randello appunto.

Randelli e centrosinistra a parte, l’operazione di schedatura delle impronte digitali introdotta in Italia in completa sintonia con la direttiva europea è parte integrante di un sistema di controllo del cittadino che continua a farsi sempre più pressante ed ossessivo, nel tentativo di fare fronte nel prossimo futuro a qualunque scenario possa contemplare il rischio di sommosse popolari e violenza diffusa conseguente al probabile tracollo economico del sistema occidentale.
Fenomeni seri ma non drammatici quali l’immigrazione clandestina fuori controllo ed il proliferare della microcriminalità sono stati strumentalizzati ad arte per terrorizzare il cittadino, già rimbambito dalla televisione ed angosciato dalle crescenti difficoltà economiche, esasperandolo fino al punto da indurlo ad invocare più sicurezza proprio facendo appello a coloro che lo vogliono sempre più insicuro e spaventato. L’equazione più sicurezza, più controllo è stata accettata supinamente come un prezzo necessario da pagare per ottenere una serenità che non arriverà mai perché chi gestisce il potere potrà continuare a farlo solamente coltivando l’angoscia e la paura che inducono il cittadino a lasciarsi controllare e gestire come più risulta conveniente alla costruzione del profitto.

Schedatura delle persone tramite la raccolta delle impronte digitali e in futuro anche del dna, telecamere onnipresenti e sempre più sofisticate, esercito nelle strade, infrastrutture presidiate dalle forze armate, finanziamenti sempre più cospicui destinati agli armamenti, all’esercito e alle forze dell’ordine, ottenuti attraverso altrettanto cospicui tagli alla sanità e alla spesa sociale, sono solo i prodromi di una “guerra” combattuta nel nome della sicurezza dei cittadini, ma destinata a lasciare sul terreno come unica vittima ogni anelito di libertà al quale intendessero aspirare i cittadini stessi, destinati a diventare nel tempo sempre meno sicuri e più controllati.

mercoledì 16 luglio 2008

Bufale in diretta sul TG1

Marco Cedolin

Il TG1 delle 13,30 di martedì 15 luglio in un ampio servizio volto a magnificare l’attività della società Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV) creata da Montezemolo, Della Valle, Generali ed Intesa San Paolo per tentare di costruire profitto privato attraverso l’utilizzo delle infrastrutture per i treni ad alta velocità, attualmente in fase di costruzione e finanziate interamente per mezzo del denaro pubblico, ha fornito alcune informazioni fuorvianti ed altre totalmente false rendendo in questo modo un pessimo servizio ai telespettatori.

La società NTV, primo operatore privato ad alta velocità in Europa, è stata presentata nella veste del benefattore che investirà il proprio denaro nell’acquisto di 25 nuovi treni ad alta velocità e nella creazione di 1.500 nuovi posti di lavoro. In realtà la società facente capo a Montezemolo (così come il resto dell’imprenditoria privata) non ha investito un solo euro nella costruzione delle infrastrutture per il TAV che da 17 anni dissanguano le finanze pubbliche, ed è “scesa in campo” solamente oggi alettata dalla prospettiva di creare utile gestendo un servizio che potrà diventare economicamente produttivo alla luce del fatto che sono stati i cittadini a finanziare l’intera operazione. Così come NTV non creerà alcun nuovo posto di lavoro ma semplicemente sottrarrà alle FS parte del servizio di competenza (con tutta probabilità la parte più remunerativa) assorbendo un migliaio di lavoratori fra quelli che le Ferrovie si apprestano a lasciare a casa anche in funzione del disimpegno messo in atto dall’azienda per favorire i privati.

Il servizio del TG1, dopo avere sponsorizzato NTV anche per mezzo di una breve intervista a Montezemolo, ha poi vantato le meravigliose “qualità ecologiche” dei treni ad alta velocità, fingendo d’ignorare che tali supposte (e mai dimostrate) qualità sono legate esclusivamente al previsto utilizzo dell’infrastruttura per il trasporto delle merci che attualmente corrono sui TIR. Previsto ma finora mai messo in pratica dal momento che fino ad oggi sulle infrastrutture del TAV non è transitato un solo treno merci e chi si occuperà di gestire il servizio in futuro, come NTV, lo farà preoccupandosi esclusivamente dei passeggeri.

Il TG1 ha poi affermato in conclusione del servizio che NTV diventerà operativa a partire dal 2011 sulla tratta ad alta velocità Torino – Milano – Roma – Bari, una tratta virtuale che è stata presentata come reale ai telespettatori, pur allignando esclusivamente nella fantasia dei giornalisti Rai che maldestramente hanno confezionato la notizia.
Le uniche 3 tratte sulle quali attualmente corrono dei convogli passeggeri, in larga parte vuoti, a puro scopo dimostrativo data l’estrema esiguità dei percorsi del tutto inadatta ad esprimere le “doti” dei treni ad alta velocità, sono quella fra Settimo Torinese e Novara ( 85 km appena), fra Roma e Gricignano (circa 190 km) e fra Padova e Venezia (non facente parte del progetto originario) della lunghezza di soli 24 km.
Probabilmente nei prossimi anni ( forse nel 2009) perverrà alla conclusione la tratta Milano – Bologna, l’unica dove lo stato di avanzamento dei lavori è ormai giunto a buon punto. La tratta Bologna – Firenze è costituita da 70 km di gallerie prive del tunnel parallelo di soccorso dove i treni non potranno correre ad alta velocità ed i lavori per il complicatissimo sottoattraversamento di Firenze, destinati a durare parecchi anni non sono ancora neppure iniziati.
La tratta Roma – Napoli si ferma attualmente a Gricignano mancando l’ultimo troncone ed il relativo nodo del capoluogo partenopeo le cui date di completamento (attualmente 2009) vengono da tempo posticipate di anno in anno. Fra Napoli e Bari non esiste assolutamente nulla se non un protocollo d’intesa e qualche straccio di progetto preliminare concernente un’infrastruttura che nelle ipotesi più ottimistiche potrebbe vedere la luce fra una ventina di anni.
Pessime bufale dunque, tanto più gravi in quanto spacciate come verità dal principale canale della TV nazionale che sta sempre più specializzandosi nel produrre ottima disinformazione di bassa qualità.

martedì 15 luglio 2008

Il colpo di spugna

Marco Cedolin

E’ arrivato dopo 7 anni il verdetto del tribunale riguardante le gravissime violenze compiute dalle forze dell’ordine nella caserma di Bolzaneto, adibita ad una sorta di carcere provvisorio durante il G8 del 2001 a Genova e si tratta senza dubbio di una vergogna che andrà a sommarsi alle tante vergogne affastellate una sull’altra a comporre una delle pagine più buie della storia recente del nostro Paese.
Una pagina che racconta l’infernale calvario di centinaia di giovani inermi picchiati, insultati, umiliati, costretti ad inginocchiarsi nell’urina dei cessi, fatti abbaiare come cani, rapati e sottoposti ad ogni genere di sevizia fisica e morale da parte di aguzzini che vestivano una divisa e avrebbero dovuto essere al servizio di uno Stato democratico.

La sentenza arrivata dopo 11 ore di camera di consiglio ha accolto solo in minima parte le richieste dell’accusa, condannando solamente 15 dei 45 imputati a 24 anni di carcere contro gli oltre 76 chiesti dai magistrati Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, senza oltretutto contestare il reato di tortura da momento che non esiste nel nostro ordinamento giuridico in spregio perfino alla convenzione ONU in materia di diritti dell’uomo. Grazie alla prescrizione e all’indulto nessuno dei condannati naturalmente andrà in galera e “l’incidente” si chiuderà con un risarcimento economico di circa 70.000 euro ad ognuna delle 209 vittime accertate.
L’esito del processo, per molti versi scontato, non stupisce più di tanto in un Paese come l’Italia dove chi si trova dalla “parte giusta” gode da sempre della libertà di delinquere, a partire dalle più alte cariche dello Stato la cui immunità risulta perfino garantita per legge.
Giovedì prossimo sono attese le richieste di condanna dei pm al processo per la sanguinosa irruzione della polizia nella scuola Diaz, definita un’operazione di “macelleria messicana” perfino dall’allora vicequestore Fournier, ma con tutta probabilità anche quella triste vicenda, facente parte della stessa pagina buia andrà incontro ad un epilogo non molto differente da quello di Bolzaneto e ci ritroveremo a scrivere un nuovo capitolo di vergogna, destinato a scolorare nel tempo ammonticchiato sopra a tutti gli altri.

sabato 12 luglio 2008

Pessimi giornalisti ma ottimi pubblicitari

Marco Cedolin

I confini fra il mondo dell’informazione giornalistica e quello della promozione pubblicitaria hanno continuato negli ultimi decenni a farsi sempre più labili, consentendo alla pubblicità di fagocitare con sempre maggiore avidità larga parte degli spazi deputati a produrre informazione.
Il lancio sul mercato del nuovo iPhone (leggasi cellulare) della Apple, magnificato da giorni nel corso dei telegiornali e sulle testate dei maggiori quotidiani, da parte di una folta schiera di giornalisti che si sono prodigati nel mettere in luce le mirabolanti qualità tecnologiche e la straordinaria filosofia che si cela all’interno di un apparecchio che a loro dire rivoluzionerà la vita degli italiani, ci ha permesso di constatare oggettivamente quanto in profondità gli spot pubblicitari abbiano ormai colonizzato ogni spazio informativo.

I telegiornali fotocopia di Rai e Mediaset, fra il “pastone” politico ed il resoconto dei fatti di cronaca più eclatanti non arrivano a dedicare all’informazione più di una dozzina di minuti, mentre l’intero quarto d’ora che segue è in realtà un’infinita sequela di spot pubblicitari mascherati, neppure troppo bene, sotto forma di notizia. Senza la canonica dicitura “messaggio promozionale” ed ovviamente senza “fattura” si pubblicizza ogni cosa, dall’ultimo cd della popstar di successo al nuovo film del regista emergente, dalla tournée del cantante famoso al libro dello scrittore intellettualmente impegnato e politicamente corretto, dall’ultima vettura nata in casa Fiat alla nuova collezione dello stilista di grido, dalle località sciistiche a quelle balneari, dal “melafonino” che ti cambierà la vita allo scooter che riscopre le tradizioni. Il tutto prendendo a pretesto analisi sociologiche costruite alla bisogna, episodi di cronaca privi di qualsiasi interesse, riflessioni di costume assolutamente pretestuose, valenze culturali di fantasia e qualunque altro escamotage possa dare un’improbabile veste di notizia a quelli che in realtà sono meramente messaggi finalizzati a veicolare una campagna pubblicitaria.

I quotidiani operano sulla stessa falsariga, potendo contare sulla compiacenza di un grande numero di giornalisti che si sono ormai specializzati nel produrre “articoli pubblicitari” estremamente documentati, dove lo spot viene spesso presentato sotto le mentite spoglie di uno scoop giornalistico sull’innovazione tecnologica, di una profonda analisi sociale, di un’attenta disamina dei mutamenti del costume. La notizia del varo della nuova nave di MSC crociere può così diventare una dettagliata presentazione delle mirabilie che i croceristi potranno trovare a bordo, l’analisi sociologica del rapporto che i giovani intrattengono con il mondo dei videogiochi uno spot per la nuova Playstation3, correlato dal racconto delle code chilometriche dei clienti in attesa davanti ai negozi in occasione della presentazione, una riflessione sul desiderio montante di tornare a consumare cibi naturali l’occasione per promuovere determinati ristoranti o cuochi, la disamina delle problematiche correlate ai mutamenti climatici può costituire il viatico per pubblicizzare questa o quella azienda automobilistica che si appresta a lanciare sul mercato un’auto ibrida e così via.
Nel solco di una pubblicità “selvaggia” ormai affrancatasi da ogni regola e da ogni logica, ed oltretutto esentasse, è così nata e sta proliferando sempre più una nuova generazione costituita da pessimi giornalisti che si manifestano però come ottimi pubblicitari destinati ad un fulgido futuro, dal momento che l’informazione, quella vera, sta scomparendo a grande velocità ormai sommersa dai messaggi promozionali molto più produttivi in termini economici.

giovedì 10 luglio 2008

Antò fa caldo

Marco Cedolin

Mentre imperversa la canicola estiva che con il suo fiato arroventato rende difficile la vita di tutti quegli italiani che non hanno la fortuna di affollare le spiagge, dove molti ombrelloni si sussurra resteranno chiusi a causa del carovita, anche il circo mediatico e quello politico sembrano risentire degli effetti del solleone, proponendo con disarmante continuità notizie più scontate di quanto non lo siano gli abiti che troneggiano nelle vetrine dei saldi estivi e penosi siparietti fra mestieranti politici tanto sudaticci e irascibili da avere ormai perso ogni briciola di aplomb.

I prezzi salgono molto di più di quanto non accada ai salari, o se preferite i salari incrementano molto di meno di quanto non accada ai prezzi. La notizia viene ormai da alcuni mesi ripetuta come un mantra da tutti i giornali, rilanciata ora dall’armata Berlusconi, ora da Confindustria, ora dal governo ombra di Veltroni che è l’unico a godere di un po’ di frescura, ora dal Governatore di Bankitalia Draghi, ora dai sindacati, ora dal Papa, ora dal Presidente della Repubblica. Tutti d’accordo nel dire che si tratta di un grande problema in quanto oltre alla sopravvivenza dei lavoratori potrebbe compromettere la crescita del PIL, tutti d’accordo nell’affermare che occorre trovare una soluzione, tutti d’accordo nel suggerire ai cittadini di continuare a “stringere la cinghia” in quanto quella economica è una scienza complessa basata su algoritmi di difficile calcolazione e l’algido respiro dell’inverno arriverà certo prima di qualunque ipotesi di soluzione.

Silvio Berlusconi in Giappone per il G8, insieme agli altri suoi confratelli si è dilettato nel piantare alberelli che garantiranno al pianeta un futuro più “verde” e ha siglato l’intesa sul clima che prevede il dimezzamento delle emissioni entro il 2050. Tutti d’accordo i grandi della terra nell’affermare che per affrontare l’emergenza del riscaldamento globale occorre tagliare le emissioni al più presto. Tutti d’accordo anche nel siglare un accordo senza cifre né scadenze rimandando i dettagli dell’operazione che necessita di tempestività alla prossima Conferenza di Copenahgen del novembre 2009.
Intervistato poi in merito alla manifestazione dei girotondini a Roma contro di lui il Cavaliere ha glissato con estrema raffinatezza, affermando che della spazzatura si occupa già a Napoli e vista la maniera in cui il governo ha intenzione di affrontare l’emergenza rifiuti l’esternazione è parsa un chiaro monito a tutti i suoi oppositori che correranno il rischio di venire inceneriti o meglio “termovalorizzati” come sono soliti dire coloro che intendono mostrarsi profondi conoscitori dell’argomento.

La manifestazione NO CAV di Roma ha prodotto una tale ondata di strascichi e polemiche che nessuno sarebbe stato in grado di astrologare alla vigilia. Beppe Grillo ne è uscito dipinto come un “satana” che avrebbe osato proferire insulti osceni all’indirizzo di Napolitano, pur avendolo soltanto accusato di “dormire” sulle leggi vergogna, senza entrare peraltro nel merito di una presidenza fra le più scandalose che la Repubblica abbia mai conosciuto.
Sabina Guzzanti è balzata all’onore delle cronache per avere offeso volgarmente il Papa e la Carfagna. Il Santo Padre è stato prontamente difeso dalla Diocesi di Roma, il ministro Carfagna, teletrasportato qualche mese fa in Parlamento direttamente dal varietà televisivo, ha trovato un difensore d’eccezione nella persona del direttore di Liberazione Piero Sansonetti visibilmente sedotto dal fascino irresistibile delle show girl portate in dote dal Cavaliere.
Chi più di ogni altro ha dovuto subire i patimenti derivanti dal caldo è stato Antonio Di Pietro che volente o nolente è risultato essere il vero referente di una manifestazione così chiacchierata.
Walter Veltroni, visibilmente accaldato e indispettito per l’accaduto gli ha imposto un ultimatum: o stai con noi o stai con la piazza, lasciando sottendere che la piazza composta dai cittadini sia qualcosa di molto diverso dal Partito Democratico che quei cittadini avrebbe la pretesa di rappresentarli. Di Pietro, questa volta con molta lungimiranza, ha risposto che lui non accetta ricatti e comunque sceglie la piazza, Grillo e Travaglio, ben sapendo che i voti si raccolgono fra la gente, sempre che non si abbia le capacità creative di Veltroni che evidentemente intende praticare strade differenti.
Antò fa caldo, e potevi dargli ragione così la finivate lì, mentre invece la questione continuerà ad imperversare sui giornali anche nei prossimi giorni rendendo la temperatura percepita sempre più insostenibile.

martedì 8 luglio 2008

Eredità nucleare

Marco Cedolin

Che fine hanno fatto le centrali nucleari italiane inattive dal 1987 equiparabili a vere e proprie scorie radioattive sotto forma di infrastrutture? E quale sarà il destino delle scorie nucleari prodotte nel nostro paese prima che il referendum sancisse l’abolizione del ricorso all’atomo?
Sarebbe logico attendersi che la consorteria dei fautori di un ritorno al nucleare, all’interno della quale si colloca larga parte della classe dirigente del Paese, partendo dai membri del governo Berlusconi, passando per i componenti dell’esecutivo “ombra” del PD per arrivare agli ambientalisti pentiti folgorati sulla via di Damasco come Chicco Testa, fosse in grado di dare al riguardo delle risposte tanto esaurienti quanto in grado di fugare qualsiasi perplessità.
Ma la logica è “un’arte” assai difficile da mettere in pratica e purtroppo occorre constatare come tutti coloro che in questi mesi si stanno rendendo artefici di un profluvio di parole aventi come oggetto la necessità di un ritorno all’atomo, più sicuro e più bello perché di terza o quarta generazione, evitino accuratamente di spendere anche una sola sillaba per rendere conto del destino di tutto quello che in Italia di radioattivo c’è già, ed avendo peso specifico ben superiore a quello delle parole tale sarà destinato a rimanere per qualche centinaio di migliaia di anni.

Ad oggi è stato realizzato solamente l’8% del totale delle attività di smantellamento delle centrali nucleari esistenti in Italia e nelle ottimistiche previsioni si pianifica di raggiungere il 40% entro la data del 2011. Il tutto naturalmente senza avere la minima idea di dove allocare in via definitiva le scorie derivanti dallo smantellamento stesso, il 90% per cento delle quali ( a bassa attività) hanno un tempo di decadimento di qualche centinaio di anni e il 10% (ad alta attività) manterranno la propria radioattività per un lasso temporale elevatissimo fino a 300.000 anni.
Le scorie nucleari prodotte durante il periodo di attività delle centrali sono attualmente all’estero dove verranno sottoposte a riprocessamento e torneranno dalla Gran Bretagna nel 2017 e dalla Francia nel 2025, senza che attualmente sia stato deciso dove collocarle.
Dopo avere carezzato nel 2003 il balzano proposito di costruire un deposito definitivo per 60.000 metri cubi di scorie nucleari ad alta, media e bassa attività in Basilicata nei pressi di Scanzano Jonico, proposito decaduto dopo appena 2 settimane di fronte alla contrarietà non solo delle popolazioni interessate ma anche di larga parte del mondo scientifico italiano ed internazionale, la società Sogin deputata a risolvere la questione non è infatti stata in grado di fornire alcuna risposta.
E non potrebbe essere diversamente dal momento che in tutto il mondo i depositi definitivi per le scorie nucleari, consistenti in silos di cemento armato o depositi geologici profondi, ospitano solamente scorie a bassa e media attività, mentre per quelle ad alta attività nessuno ha saputo offrire una qualche soluzione praticabile. Neppure il progetto Yucca Mountain del costo previsto di 60 miliardi di dollari, messo a punto negli Stati Uniti e tuttora oggetto di grandi discussioni in merito alla sua validità, ha l’ambizione di manifestarsi in qualche modo risolutivo dal momento che nella migliore delle ipotesi metterebbe “in sicurezza” per 10.000 anni scorie destinate a mantenere la propria radioattività per 300.000 anni.

Se i TG, le grandi testate giornalistiche e le trasmissioni culturali e scientifiche che propongono dibattiti con gli esperti nei salottini buoni della TV, ogni qualvolta affrontano il tema del nucleare proponendolo come un’opportunità imprescindibile per il nostro futuro, ci documentassero riguardo al destino delle scorie ereditate dal nucleare passato, senza dubbio l’informazione risulterebbe di ben altra qualità e l’opinione pubblica fruirebbe di elementi assai interessanti intorno ai quali riflettere.

domenica 6 luglio 2008

Galbani vuol dire fiducia



Marco Cedolin

Sul sito web di Repubblica, in un ottimo articolo a firma Paolo Berizzi, vengono resi noti gli sconcertanti sviluppi di un’indagine partita nel 2006 e portata avanti dalla guardia di finanza di Cremona grazie a quelle intercettazioni che giornalmente vengono messe sotto accusa quasi si trattasse del più grande problema che affligge questo disgraziato Paese.Nonostante in Italia le frodi alimentari siano ormai all’ordine del giorno e cambiare il cartellino dei prodotti scaduti all’interno degli ipermercati stia diventando quasi una consuetudine, le dinamiche della truffa da parte che di quelli che Berizzi definisce giustamente “banditi della tavola” sono tali da riuscire a turbare profondamente non solo le persone deboli di stomaco.L’impresa criminale che faceva capo a 4 aziende con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen in Germania, tutte riconducibili all’imprenditore siciliano Domenico Russo, ed era punto di riferimento per marchi come Galbani, Granarolo, Cademartori, Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del latte di Firenze, Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi ed altre multinazionali europee, operava anche grazie alla connivenza delle Asl di competenza riciclando con l’ausilio di molta creatività gli scarti di formaggio avariato che avrebbero dovuto essere smaltiti.Tali scarti, spesse volte forniti proprio dai grandi marchi di cui sopra, consistevano in formaggio avariato e putrefatto all’interno del quale si poteva trovare di tutto: vermi, escrementi di topi, pezzi di ferro, residui di plastica tritata, muffe ed inchiostro. Il materiale marcescente e maleodorante anziché venire smaltito subiva tutta una serie di lavorazioni che lo portavano a tornare sugli scaffali di discount ed ipermercati (spesso attraverso quegli stessi marchi che lo avevano venduto come rifiuto) sotto forma di sottilette, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, gorgonzola ed altre specialità casearie che venivano vendute come prodotti genuini ai consumatori.La truffa nell’ambito della quale il gruppo Lactalis Italia che controlla Galbani sembra avere pesantissime responsabilità, non ha coinvolto solo l’Italia ma si è sviluppata a livello europeo, arrivando a produrre la lavorazione di oltre 11.000 tonnellate di formaggio avariato a fronte di un business economico di enormi proporzioni. Decine risultano essere le persone indagate e denunciate per un’attività criminale che oltre a produrre profondo disgusto ha determinato pesantissimi rischi per la salute pubblica.Come ultima nota disarmante in questa scioccante vicenda va sottolineato il fatto che gli impiegati e gli operai delle ditte incriminate hanno verbalizzato di essere a conoscenza della situazione ma si sono guardati bene dal renderla pubblica, molto probabilmente per non rischiare di mettere a repentaglio il proprio posto di lavoro.Riesce difficile chiamare “progresso” la costruzione di una società all’interno della quale si corre il rischio di mangiare inconsapevolmente poltiglia marcescente per compiacere le multinazionali e ci si trova “costretti” a diventare complici di una banda criminale che avvelena i nostri simili per “mantenere” uno stipendio che ci consenta di sopravvivere un gradino sopra la soglia di povertà. Così come riesce difficile concepire un progresso che rischia di toglierci ogni dignità, anestetizzando la nostra natura umana e trasformandoci in ingranaggi della macchina di produzione e tubi digerenti di un consumo che tende a farsi sempre più escrementizio.

Link all'articolo di Paolo Berizzi: http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/formaggi-truffa/formaggi-truffa/formaggi-truffa.html

venerdì 4 luglio 2008

Tragedia Thyssen, dov'erano i sindacati?

Marco Cedolin

Nell’imminenza del processo per la strage avvenuta nello stabilimento Thyssenkrupp di Torino, nella quale persero la vita 7 operai, stanno facendosi sempre più tesi i rapporti fra i sindacati ed i familiari delle vittime che dimostrano di gradire sempre meno il modo con cui le organizzazioni sindacali hanno deciso di rapportarsi con loro.
La scelta delle famiglie delle vittime di accettare il risarcimento di 2 milioni di euro a testa da parte della multinazionale, in cambio della rinuncia a costituirsi parte civile nel processo, è stata accolta dai vertici sindacali con malcelata contrarietà, pur nel rispetto di una decisione comprensibilmente sofferta. La Fiom ha deciso, come dichiarato dal suo segretario Giorgio Cremaschi, di costituirsi comunque parte civile nella speranza che i responsabili vengano puniti in maniera esemplare. Il segretario regionale della Uilm Mario Peverati, martedì ha pubblicamente invitato le famiglie delle vittime a devolvere una parte del risarcimento ottenuto al fondo per l’aiuto delle vedove e degli orfani di altre tragedie sul lavoro, naturalmente gestito da Cgil-Cisl e Uil.

Antonio Mencobello, legale della famiglia di Giuseppe Schiavone, che fu il primo dei sette operai Thyssen a morire, il giorno stesso del tragico rogo il 6 dicembre 2007, ha annunciato stamani di essere in procinto di valutare concretamente la possibilità di procedere ad un’azione legale anche contro Fiom-Fim e Uilm che non hanno preso provvedimenti, pur essendo con tutta probabilità a conoscenza delle mancate condizioni di sicurezza negli impianti, come sarebbe dimostrato dalle motivazioni stesse con cui i sindacati hanno deciso di costituirsi parte civile dichiarando che l’incendio era un evento più che prevedibile, date le condizioni di sicurezza degli impianti. Mencobello ha poi aggiunto che nel caso durante il processo emergessero eventuali responsabilità dell’Asl di competenza o di altri enti potrebbe essere estesa anche a loro l’azione risarcitoria in sede civile.

Pur senza entrare nel merito di una vicenda così drammatica e delicata non si può negare che le parole di Mencobello diano corpo alle domande che molti di noi si stanno facendo da tempo. Dov’erano i sindacati che oggi si ergono ad esempio di rettitudine e dispensano lezioni di generosità alle famiglie delle vittime, quando alla Thyssen si creavano i presupposti della tragedia ed era necessario denunciare la mancanza delle condizioni di sicurezza degli impianti? E dov’erano in quello stesso periodo l’Asl di competenza e gli altri organismi preposti al controllo?
La sensazione che si voglia circoscrivere alla sola multinazionale tedesca, che comunque nonostante le pesanti colpe uscirà in piedi dalla vicenda grazie al suo strapotere economico, la responsabilità di un intero sistema del lavoro marcio e corrotto che nel suo insieme è all’origine della tragedia sta diventando sempre più netta, mentre risulta sempre più difficile comprendere da quale parte del banco processuale saranno destinati a sedersi i rappresentanti dei sindacati.

giovedì 3 luglio 2008

Quanto sono vuote le piazze della politica

Marco Cedolin

Probabilmente sarà un segno dei tempi che cambiano in seno ad una classe politica sempre più autoreferenziale e lontana anni luce dalla sensibilità dei cittadini, o forse gli stessi cittadini dopo essere stati per anni strumentalizzati ora da un partito ora dall’altro hanno sviluppato una certa idiosincrasia verso lo scendere in piazza all’ombra di qualche vessillo, o semplicemente sarà colpa del fatto che non esistono più partiti in grado di fare opposizione con un minimo di credibilità.
Qualunque sia la ragione risulta comunque evidente che la politica oggi non è più in grado di portare la gente in piazza come ha fatto sistematicamente in passato e probabilmente con la manifestazione del dicembre 2006 organizzata (e finanziata) da Berlusconi contro la manovra finanziaria di Padoa Schioppa si è chiusa l’era delle grandi adunate degli italiani chiamati a raccolta dei partiti. Gli ultimi due tentativi partoriti lo scorso autunno da Gianfranco Fini e da una sinistra (di lotta e di governo?) indecifrabile che si celava sotto l’ombrello del Manifesto lo hanno dimostrato in maniera impietosa, non tanto in virtù della scarsa partecipazione popolare quanto a causa dell’assoluta mancanza di un messaggio credibile da portare avanti.
Solamente i movimenti del No (no Tav, no Dal Molin, no discarica ecc.) ed i V-Day di Beppe Grillo riescono ancora a riempire le piazze, interpretando la sensibilità e in molti casi l’esasperazione di una larga parte della popolazione, sempre più attenta ai problemi concreti e sempre meno disposta a farsi strumentalizzare.

L’ex direttore dell’Unità Furio Colombo, il direttore della rivista Micromega Paolo Flores d’Arcais ed il dipietrista Pancho Pardi hanno comunque deciso di provarci, organizzando una manifestazione (girotondo) a Roma per il prossimo 8 luglio contro le leggi “canaglia” del governo. Nonostante il tema sia d’indubbio interesse, sembrano però scarse le possibilità che l’operazione si riveli un successo dal momento che ha già incontrato non poche difficoltà arrivando a scatenare una serie di litigi all’interno del centrosinistra. Veltroni si è affrettato a prendere le distanze temendo che in qualche modo la manifestazione potesse ritorcersi anche contro di lui e contro il Presidente Napolitano assumendo toni di antipolitica. Lo stesso Furio Colombo si è trovato in disaccordo con Flores d’Arcais che avrebbe attaccato Veltroni in un’intervista al Riformista ed è arrivato a mettere in dubbio la sua presenza, Antonio Di Pietro parteciperà solo se non verranno presi di mira il suo partito ed il PD, l’annunciata presenza di Marco Ferrando risulta scomoda a molti e Sinistra Democratica vorrebbe poter portare le sue bandiere. Mentre la partecipazione di Beppe Grillo è ancora in forse saranno invece sicuramente presenti Marco Travaglio ed Andrea Camilleri e probabilmente anche una decina di parlamentari in quota PD di cui non sono stati resi noti i nomi in quanto forniranno una sorta di appoggio esterno.

Insomma se queste sono le premesse in seno a quella che dovrebbe essere l’opposizione, senza dubbio le piazze della politica continueranno a rimanere vuote per lungo tempo.

mercoledì 2 luglio 2008

Psicologi della monnezza

Marco Cedolin

La notizia era già trapelata nelle scorse settimane, ma ha trovato conferma oggi in occasione dell’ennesima visita di Silvio Berlusconi in quel di Napoli.
Il commissario per l’emergenza rifiuti Guido Bertolaso ha deciso che oltre ai bersaglieri, agli alpini ed ai volontari della Protezione civile, “scenderanno” nella città partenopea anche 300 psicologi reclutati rigorosamente nelle regioni del centro-nord con il compito di sensibilizzare i napoletani riguardo alla necessità di praticare la raccolta differenziata.

Ogni responsabilità dell’emergenza rifiuti, costruita ad arte dalla politica per continuare a maramaldeggiare in completa libertà, è stata a questo punto scaricata sulla schiena dei cittadini napoletani, dipinti come villici riottosi che occorre educare alle pratiche virtuose utilizzando qualsiasi mezzo. Dove non dovesse bastare la forza dell’esercito, l’opera di convincimento potrà così essere portata avanti tramite la psicoanalisi dei discepoli di Sigmund Freud, coadiuvati come annunciato oggi da Berlusconi, da una corposa campagna di spot da mandare in onda sulle sue TV, naturalmente a spese dei contribuenti. Quale napoletano posto di fronte ad un simile spiegamento di forze, tanto fisiche quanto intellettuali, potrà ancora rimanere inchiodato nel suo bozzolo marcescente fatto d’ignoranza e scarso senso civico e rifiutarsi di abbracciare il vento del progresso che arriva dal Nord?

In tutto questo teatro dell’assurdo nel quale si è trasformata l’intera vicenda non si riesce davvero più a comprendere quante volte sia stato superato il limite della decenza. La gravità delle offese patite dai cittadini napoletani, bollati come trogloditi da emancipare, fa il paio con la supponenza di un governo sordo e miope che pur avendo programmato di riempire la Campania di forni inceneritori si finge paladino della raccolta differenziata che inevitabilmente quegli stessi inceneritori uccideranno prima ancora che sia nata. Forse gli unici ad avere veramente bisogno dell’aiuto degli psicologi sarebbero proprio Bertolaso e la consorteria politica da cui prende gli ordini, non occorrerebbe neppure cambiare la qualifica, psicologi della monnezza calzerebbe a pennello anche per loro.

martedì 1 luglio 2008

Hanno il coraggio di chiamarlo dialogo

Marco Cedolin

Il giorno dopo la stipula dell’accordo sul “nuovo TAV” in Val di Susa, l’intero circo mediatico ha presentato l’intesa raggiunta come una grande vittoria della linea del dialogo e della condivisione, ottenuta nell’ambito dell’Osservatorio presieduto da Mario Virano, che non ha esitato a proporsi come il precursore di un nuovo metodo di “concertazione” in grado di sbloccare tutte le grandi opere attualmente in fase di stallo a causa dell’opposizione dei cittadini.
Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli si è detto felice perché ha trionfato la linea del dialogo, la presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso ha parlato di vittoria delle soluzioni largamente condivise, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha lodato Virano per le sue capacità di dialogo e così ha fatto la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Perfino gli ambientalisti in quota PD di Legambiente, nel cui direttivo siede Antonio Fermentino che insieme a Virano è fra i maggiori artefici dell’accordo, hanno espresso soddisfazione per la firma dell’intesa che “consentirà di realizzare qualcosa di veramente utile condiviso con il territorio”.

Leggendo i giornali e guardando la TV si sarebbe perciò indotti a pensare che il nuovo TAV sia nato attraverso il confronto ed il dialogo con la popolazione interessata dall’opera, che avrebbe condiviso se non il progetto perlomeno il metodo con il quale lo stesso sarà portato avanti.
Per quanto alla luce delle dichiarazioni possa sembrare singolare, in realtà non è accaduto nulla di tutto ciò e quella che viene celebrata come una vittoria del dialogo e della condivisione è stata solamente una squallida “campagna acquisti” finalizzata ad ottenere l’acquiescenza dei sindaci valsusini, terminata con il loro completo asservimento alla consorteria del cemento e del tondino.

I cittadini della Valle di Susa nel corso di 2 anni e mezzo non hanno dialogato con nessuno (nemmeno più con i propri sindaci) e non hanno potuto condividere assolutamente nulla, dal momento che sono stati esautorati dalla partecipazione in tutte le sedi all’interno delle quali si è svolta la concertazione.
L’Osservatorio Virano altro non è stato se non un consesso blindato dai cui “cancelli” la popolazione è stata tenuta fuori con l’ausilio delle forze dell’ordine e perfino i quaderni da esso prodotti sono stati per lungo tempo nascosti alla vista dei cittadini.
La linea di condotta degli amministratori è stata decisa nel corso di numerose conferenze dei sindaci, rigorosamente a porte chiuse perfino per i giornalisti e le decisioni sono state prese dai sindaci stessi in maniera unilaterale senza alcuna convocazione dei consigli comunali.
Ferrentino e gli altri amministratori si sono sempre rifiutati di condividere con la popolazione ciò che avrebbero detto a Palazzo Chigi prima di ogni convocazione a Roma al tavolo del governo.
Nessun progetto di grande opera in Italia è stato portato avanti nell’oscuro delle stanze del potere, senza alcuna trasparenza e la minima interfaccia con i cittadini (sistematicamente respinti dalle forze dell’ordine quasi si trattasse di criminali) come accaduto con il nuovo TAV partorito dall’Osservatorio Virano e nonostante questa sia la triste realtà una siffatta operazione indecente viene celebrata come la vittoria della filosofia del dialogo e della condivisione.
Dialogo e condivisione con chi, dal momento che si è trattato di un soliloquio ordito nel buio delle stanze blindate?