mercoledì 16 giugno 2010

Tengo famiglia

Marco Cedolin
In merito al "ricatto" di Marchionne nei confronti dei dipendenti FIAT di Pomigliano D’Arco sono state scritte molte cose. Innumerevoli levate di scudi contro l’ennesimo “attentato” ai diritti dei lavoratori, altrettanto numerosi attestati di stima in difesa di un’azienda disposta ad “investire” denaro (di chi?) per creare occupazione, molte riflessioni salomoniche volte a stemperare i toni e favorire il raggiungimento di un accordo che comunque “s’ha da fare”.
 In mezzo a tanto bailamme, tirati per la giacchetta ora dagli uni ora dagli altri, ci sono i lavoratori oggetto dell’accordo, che presto saranno chiamati ad esprimersi in prima persona riguardo alla sottoscrizione dello stesso. Lavoratori che quando compaiono intervistati in TV, generalmente rispondono senza esitazione “voteremo si, perché teniamo figli e famiglia ed abbiamo bisogno di lavorare”....
 Un ragionamento tutto sommato comprensibile, dal momento che per mantenere i figli e la famiglia ci vogliono i danari e alla luce delle ristrette prospettive occupazionali attuali, in caso di rifiuto al ricatto, i lavoratori di Pomigliano non tarderebbero a ritrovarsi in una situazione drammatica.
Oltretutto le richieste di Marchionne li costringeranno a qualche “sacrificio” in più, ma si tratterà comunque di sacrifici nel complesso sopportabili, soprattutto se facendo un paragone al ribasso si volge lo sguardo ai precari dei call center e delle agenzie interinali.
 La sensazione è che alla fine dei giochi Marchionne avrà dunque partita vinta, la maggioranza dei lavoratori interessati aderirà all’accordo e chi, come la FIOM, aveva scelto la “linea dura” rivestirà il ruolo di capro espiatorio, qualificandosi come nemico tanto dell’azienda quanto degli operai.

In tutta sincerità non ci riesce davvero di rammaricarci per le sorti della FIOM, punita proprio in occasione di uno dei suoi rarissimi moti d’orgoglio. I sindacati stanno ormai perdendo ogni ragione di esistere e sono comunque la rappresentazione di un mondo clientelare che, salvo rare eccezioni, ha sempre prodotto lauti profitti agendo in maniera parassitaria sulla pelle dei lavoratori.
Le sorti dei lavoratori, di tutti i lavoratori italiani, non solamente di quelli di Pomigliano, ci preoccupano invece molto di più. Ci preoccupano, perché guardando in prospettiva, il ricatto di Marchionne (in sé grave ma non devastante) apre la strada ad una gestione dei contratti di lavoro del tutto nuova, all’interno di un “mercato” ormai maturo per il cambiamento. L’imposizione sostituisce la contrattazione, le regole cessano di essere norme oggettive uguali per tutti ed il confronto azienda/lavoratore (senza più mediazioni) non viene condotto in maniera paritetica, ma sul piano inclinato del ricatto nei confronti del più debole, destinato giocoforza a soccombere.
 I lavoratori di Pomigliano, disposti a qualsiasi sacrificio, perché hanno bisogno di lavorare e “tengono” figli e famiglia, fanno un ragionamento comprensibile, ma la cui valenza è limitata al contingente.
Riusciranno a sopravvivere nel futuro immediato, ma cosa accadrà domani?Cosa accadrà quando la FIAT e le altre grandi imprese che la emuleranno imporranno (non domanderanno) ai lavoratori dell’Italia tutta nuovi sacrifici e poi altri sacrifici ancora? Quando i sacrifici non si limiteranno a qualche ora di straordinario in più o alla restrizione delle retribuzioni in caso di malattia, ma saranno costituiti da cospicui tagli dei salari e delle tredicesime, dall’eliminazione delle ferie e della malattia, dalla soppressione di diritti fondamentali?
I lavoratori dell’Italia tutta saranno costretti a chinare la testa, perché terranno figli e famiglia e oltretutto le prospettive occupazionali nel frattempo saranno ancora peggiorate e sarà tardi per comprendere che la strada intrapresa è una strada a senso unico.
Ecco allora che un ragionamento “comprensibile” esperito per il bene dei figli e delle famiglie, rischierà di trasformarsi in un boomerang che comprometterà gravemente proprio il futuro di quegli stessi figli e  famiglie che si troveranno a “sopravvivere” in un mercato del lavoro sempre più compromesso, fatto di precarietà, deprivato dei diritti e della dignità. Un inferno la cui costruzione sarà stata possibile solo grazie a tanti “ragionamenti comprensibili” unanimemente accettati come la soluzione migliore.

13 commenti:

Alba Kan ha detto...

Hai fatto un disegno molto lineare della realtà.
In un momento in cui il mondo intero ha assolutamente bisogno di grandi lotte contro lo sfruttamento, ancora una volta vince il cattivo (i buoni vincono solo nei film), e tutto questo perchè si fa leva sui bisogni di base di una famiglia, cioè "sfamare i figli".
Proprio ieri in un altro sito si parlava di questo, con opinioni diverse; chi diceva che bisognava lottare e chi diceva che quando si ha una famiglia, bisogna pensare al suo futuro.
E' una scelta difficile che non si può fare con la margherita in mano strappando i petali: cedo o non cedo (al ricatto)?

Non credo che ci sia un solo padre di famiglia che dica a suo figlio:
"Sai per qualche giorno non mangerai, vado a lottare per i miei e tuoi diritti e se non morirai di fame potrai vivere in un mondo più giusto ed equo"!

marco cedolin ha detto...

Cara Alba,
non credo esistano dubbi sul fatto che quando si ha una famiglia, bisogna pensare al suo futuro.
I dubbi semmai sorgono in merito a quale sia il modo migliore per provvedere al suo futuro.

Non lottare per i diritti (nostri ma soprattutto dei nostri figli) ed accettare le imposizioni con la testa bassa, nella speranza che le bastonate di oggi e quelle di domani ci lascino comunque prostrati ma ancora in piedi.
Oppure reagire una volta per tutte e pretendere che noi ed i nostri figli si abbia diritto ad un futuro, magari non proprio ad un mondo più giusto e più equo, ma perlomeno ad un mondo vivibile, come lo è stato quello dei nostri genitori.

Probabilmente non è facile darsi una risposta, ma giova ricordare che quando si subisce senza reagire uno schiaffo, la prossima volta arrriverà un calcio e quella seguente una bastonata. Perchè quando chi ti affronta comprende che non puoi permetterti di reagire, diventa cosciente del fatto che dovrai subire passivamente qualunque genere di percossa.
Come ho scritto nell'articolo si tratta di una scelta comprensibile, ma occorre pensarci bene prima di decidere. Quella della sottomissione è una strada a senso unico, dove non si possono fare inversioni di marcia, ed è una strada sulla quale si ritroverà tutta la famiglia.

Davide. ha detto...

Condivido il pensiero di Alba Kan. Il pezzo traccia un quadro lineare e inevitabilmente drammatico della realtà. Quest'accordo si farà pur coi rifiuti di "maniera" della Fiom.
Il fatto è semplice: la fiat è nella posizione di imporre la sua linea e ogni sindacato lo sa. Ogni sindacato sa che la sua posizione all'interno di questo accordo è puramente cerimoniale e di contorno.
L'accordo una volta fatto aprirà la strada a nuovi rinnovi capestro.
Ad oggi, tra il non morir di fame e lottare per il mantenimento dei propri residui diritti, la scelta appare obbligata: non morir di fame.
Questo perché la lotta sarebbe solo settoriale. Una lotta settoriale non porta alcun risultato.
I lavoratori sono divisi in tanti compartimenti stagni, i sindacati sono gli uni opposti agli altri. Gli anni settanta sono finiti da un pezzo.

Alba Kan ha detto...

@Marco
Hai sicuramente ragione sulla lotta per i diritti, e conoscendomi un pò sai che se fosse per me spaccherei tutto, non sono di certo per "l'abbassare la testa" (altrimenti è finita). però quello che volevo dire è che io penso ancora che la gente non si renda davvero conto di ciò che sta succedendo, a causa dei media...e sempre a causa dei media tutto questo, per quei pochi che hanno cominciato a capire è stata una sorpresa.
Gli italiani non sono pronti a fare lotte per i diritti, devono arrivare a ragionare con l'instinto dell'animale affamato per fare qualcosa, quindi ripeto quello che dico sempre, la vera fame ancora non c'è!
Ma prima o poi arriverà e molti si pentiranno di aver perso tanto tempo prezioso.

Clanity184 ha detto...

Non è forse questo che ci meritiamo, dopo aver delegato la determinazione del nostro futuro alla pancia invece che alla testa, cosa ci possiamo aspettare di diverso? Non siamo forse di fronte all'epilogo della quadratura del cerchio nel processo di globalizzazione? Se è vero che la Cina sta lentamente spingendo verso l'aumento dei salari, per sostenere produzione e consumi interni a fronte della crisi delle esportazioni, è altrettando innegabile che il differenziale con l'Europa in termini di stipendi e condizioni di lavoro è ancora notevole. Questo gap forza ad un riequilibrio dei rispettivi potenziali competitivi che passa necessariamente attraverso la diminuzione del costo del lavoro/peggioramento delle condizioni alle nostre latitudini.
Quelli che tu lodevolmente tenti di difendere e di allertare sono operai vittime, ma sono anche consumatori colpevoli. La fossa se la sono scavata da soli a forza di televisione e shopping, di disinteresse per le tematiche rilevanti il bene comune. Non viviamo forse in una società dove l'attenzione e la dedizione sono riservate quasi esclusivamente ad una serie di amenità, da menti malate, che vanno dal gossip ai mondiali passando per la moda e finendo nelle beautyfarm e chi più ne ha più ne metta. Ma chi in natura è così stupido da segare il ramo della pianta su cui è seduto?

kthrcds ha detto...

Il ricatto Fiat a Pomigliano mira a demolire i diritti dei lavoratori, e assesta un nuovo colpo, forse fatale, all’assetto democratico di un Paese ormai in stato confusionale e attraversato da una profonda crisi economica. La Fiat subordina l’investimento di 700 milioni di euro per lo stabilimento di Pomigliano, all’accettazione di un accordo che corrisponde alla riduzione in schiavitù di circa 5mila lavoratori. Un investimento, quello della Fiat, inferiore al costo di un anno di missione militare in Afganistan.
Pomigliano è la replica di quanto accadde nel 1980 dopo la “marcia dei 40mila” a Torino. Il ritornello è il solito, è solo stato adattato alla situazione odierna. In un’intervista a Il Sole24Ore del 13 giugno scorso, il presidente dell'Unione industriale di Torino, Gianfranco Carbonato, spiega che “oggi la contrapposizione non è più fra classi: capitalisti da una parte e lavoratori dall'altra. Ormai la contrapposizione è fra sistemi paese”
È lo stesso Carbonato a spiegare che il “futuro del paese dipenderà anche dalle scelte che il resto della Cgil prenderà in queste ore”, perché, se la richiesta della Fiat non dovesse passare, nessuno verrà più a investire in Italia.
Da giorni si ripete ininterrottamente che “tutti i paesi europei attraversano un periodo di grave crisi”, ed è quindi necessario fare sacrifici.
Già, ma bisognerebbe spiegare che alla crisi ci hanno condotto gli stessi che ora pretendono di tirarcene fuori chiedendo i sacrifici ai lavoratori che li fanno ininterrottamente da 30 anni.

marco cedolin ha detto...

Cara Alba,
sono perfettamente d'accordo con te, la gente comune (non lo dico in tono dispregiativo)non si rende affatto conto della situazione e non se ne renderà conto fino a quando lo stato delle cose non precepiterà. Il guaio è che giunto quel momento sarà probabilmente troppo tardi per qualsiasi genere di reazione costruttiva.

Davide, Clanity e kthrcds,
i vostri commenti sono così articolati ed interessanti da costituire materiale per un altro articolo. Grazie per avere ampliato di molto la riflessione sulla questione.

Stefano ha detto...

linko un articolo che trovo interessante, visto che i polacchi ci sono passati prima con la medesima proprietà...
http://www.gliitaliani.it/2010/06/i-lavoratori-fiat-polacchi-scrivono-a-quelli-di-pomigliano/

Simone ha detto...

Le ultime generazioni sono condizionate dall'Eterno Presente tipico dell'Occidente Nichilista. Noi, come i nostri padri, siamo incapaci di ragionare sul lungo periodo, pertanto è naturale che gli operai facciano le proprie scelte pensando a conseguenze che non siano immediate. Hanno famiglia qui e adesso, pertanto vogliono un contentino qui e adesso.

Bisogna capire che c'è un premio per chi vuole buttare già questo sistema. Dobbiamo impedire che la pallina di neve inizi a rotolare giù per il pendio diventando valanga e che si scateni una rincorsa al ribasso per lo status dei lavoratori.

Il capitalismo attuale sta immobilizzando risorse immani che potrebbere essere redistribuite e impiegate per la gente ed è questo il premio per coloro che si opporranno ribaltando queste decadimento,

marco cedolin ha detto...

Ciao Stefano,
grazie per il link, senza dubbio interessante.

Ciao Simone,
temo che la pallina di neve abbia già iniziato a rotolare giù per il pendio, assumendo dimensioni consistenti. Quello che per ora non riesco a vedere, anche con tutta la buona volontà, è una fiammella di sdegno che serpeggi fra la gente, inducendola a prendere in mano la propria vita ed il proprio futuro.

Igor ha detto...

A me sembra che dalla FIOM agli oltranzisti del sì tutti si stiano comportando come il famoso stolto del proverbio cinese che guarda il dito invece della luna. L'auto oramai è un comparto in flessione continua da anni che va avanti grazie a massicci incentivi statali: legare i lavoratori a quel settore equivale a condannarli, tra qualche anno saremo punto e a capo, e sembra che l'unica scelta da fare in questo lasso di tempo sia scegliere come trattarli, se un po' meglio un po' peggio. L'unica alternativa sarebbe una riconversione tipo quella proposta da Pallante alla microcogenerazione, un settore che ha ampi margini di sviluppo.

marco cedolin ha detto...

Ciao Igor,
condivido in pieno la tua riflessione.
L'unica alternativa praticabile passa attraverso la riconversione industriale nei termini proposti da Pallante. Continuo a domandarmi quanto tempo ci vorrà prima che i soloni che pretendono di governare il paese si decidano ad ammettere l'evidenza.

simone ha detto...

Salve, ogni tanto leggo i suoi articoli, e premetto di essere operaio generico.

Partiamo da lontano, in Italia sempre, prima della formazione dei sindacati, vi erano condizioni di lavoro pessime, da fame e soprattutto pagate con lo sfruttamento.

Poi arrivò, si formò il sindacato, unico, apolitico, nel senso di unica forma politica, quella dei lavoratori, e infine i primi scioperi organizzati, non senza vittime.

Passano gli anni e cominciano le prime crepe, ritengo di strategia dei padroni, che sanno vedere il futuro a lungo termine, è il loro lavoro, intendo, comincia la prima avvisaglia di perdita del diritto, cioè cominciano a dividersi politicamente i sindacati, e di conseguenza i lavoratori, d'altra parte un detto romano molto in voga di questi tempi è "dividi et impera".

Poi si son divise le categorie, e di conseguenza i salari, vuoi per essere partecipi ai mercati, vuoi perchè una categoria valeva più dell'altra, vuoi perchè la confusione comincia a regnare sovrana, ritengo io, col benestare di alcuni sindacalisti, e tagliando corto, poi si arriva a togliere la scala mobile, ora ci tolgono pure le pensioni "fisse".

Poi infine arriviamo alla legge Biagi, e deprezzamento dei valori di studio-esperienza lavorativa-tempo lavorativo sempre più a disposizione dell'azienda, e poco a sè stessi.
Ora siamo alla crisi, causata dalle banche.

Chiedo scusa per il brutale e personale sunto di una storia senza lieto fine, però, con ciò apro il mio piccolo ragionamento.

Verso i "colleghi" di pomigliano, e Fiat in generale, mi si perdoni, non ho molta solidarietà, se non verso chi perderà il lavoro e chi dovrà vivere da precario.
Per molti anni la fiat, è stata foraggio non solo per i politici, ma anche per la Fiat stessa, ne conosciamo tutti la storia, inutile che la ripeta, soprattutto per la parte negativa di essa, ma questa mia puntualizzazione, per evidenziare, come negli anni, come ci ha condizionato la vita, intendo lavorativa.
La categoria metalmeccanica, ha segnato la storia contrattuale del nostro tempo, sminuendo, sempre per questioni di voti, i salari delle altre categorie, pur sapedo che chi inizia dal primo livello contrattuale, è uguale in tutte le categorie lavorative.
Ora "spuntano" scioperi sopratuttto, fra le tante motivazioni, in solidarietà dei lavoratori di pomigliano, che di fattto, stanno contribuendo di nuovo a formare un nuovo tipo di orizzonte, come espresso da lei tra l'altro, ma aggiungo, quando lei parla di straordinari, quelli ormai sono epr i "ricchi", nel mio caso, proprio a livello contrattuale, si parla di straordinario flessibilità, solo poche ore mi vengon passate, le altre vengono considerate ferie.

Io sono fra i fortunati che ha lavoro ed è dipendente fisso, quanto soprascritto è frutto delle mie riflessioni, e sono uno dei pochi fortunati che si prende la briga di leggere un pò di tutto su internet, oltre che essere fortunato a poterne usufruire di un'abbonamento adsl.

Ultima considerazione, cercano di convincerci a pagare una forma previdenziale integrativa, oltre a tante altre cose tese al futuro, ma la cosa curiosa, è che i soldi in banca danno fastidio proprio a chi i miei soldi ce li ha.

Chiedo scusa per la lungaggine, l'eventuale fuori uscita dall'argomento principale, e per l'eventuale disagio creato da ciò.

Ringrazio comunque per avermi lasciato usare lo spazio per scrivere, saluti, Simone.